Due morti nel giro di tre giorni. Assassinati con le stesse modalità, cioè freddati a colpi di pistola in piena notte, mentre rincasavano, nel quartiere Picanello. Salvatore Capodimonte e Alfio Lanzafame erano due non più giovani pregiudicati per rapine a mano armata, lesioni e omicidio. Entrambi sessantenni, da ragazzi avevano cominciato con furtarelli nei centri commerciali, poi erano passati alle rapine in negozi, gioiellerie e banche. A trent’anni un assalto a un istituto di credito era sfociato nel sangue. Capodimonte, in giacca e cravatta, era entrato per primo, fingendosi cliente ma, giunto davanti a un impiegato, gli aveva puntato un taglierino (nascosto in una scarpa) al collo costringendolo a sbloccare la porta di sicurezza per fare entrare Lanzafame che, essendo armato di pistola, sarebbe rimasto bloccato dal metal detector. Una volta dentro, i banditi avevano cominciato a urlare minacciando clienti e bancari e, mentre Capodimonte stava riempiendo un sacco di banconote prelevandole dai cassetti e dalla cassaforte aperta da un dipendente, il complice teneva tutti sotto tiro con la sua semiautomatica alla quale aveva messo il colpo in canna per intimorire i presenti. Fra questi c’erano un medico, il dottor Eugenio Campisi, e il figlioletto Danilo di 8 anni. Istintivamente suo padre gli si mise davanti per proteggerlo. La fulminea mossa disorientò il malvivente armato, il quale credendo che l’uomo stesse per compiere qualcosa per far fallire il colpo, perse il controllo e sparò contro il medico centrandolo al petto e fulminandolo sotto gli occhi terrorizzati del bambino. Nel frattempo un impiegato aveva azionato il sistema d’allarme e nel giro di poco tempo erano giunte due volanti della Polizia. I poliziotti erano scesi dalle auto coi mitra spianati. Fra loro c’era un giovanissimo Carlo Valenti a quel tempo brigadiere, che con altri agenti catturò i malfattori. «Chi può averli eliminati, commissario? », chiese a Valenti l’ispettore Marchese. «Regolamento di conti fra cosche? ». «Mmmm, non credo: Capodimonte e Lanzafame facevano parte di un clan che non infastidiva le altre famiglie mafiose, avendo trovato con tutte un accordo». «E allora? ». «Allora andrei a scambiare quattro chiacchiere con Danilo Campisi, il figlio di quel medico ammazzato da Lanzafame trent’anni fa. Ora dovrebbe avere 38 anni». «Vede signor Campisi», gli aveva detto il commissario, «lei ha aspettato 6 lustri per vendicarsi. Ho ricordato che suo padre era un collezionista di armi da guerra… e accanto ai cadaveri dei due pregiudicati abbiamo trovato bossoli esplosi da una vecchia Browning 7,65 parabellum perfettamente funzionante». Danilo Campisi indicò a Valenti un armadio blindato: «La troverà lì dentro assieme ad altre pistole. Sì, ho atteso trent’anni prima di farli fuori. Erano usciti dal carcere da pochi giorni… il tempo di lubrificare l’arma, poi li ho braccati… dovevo farlo, mio padre è morto per salvarmi».