La start up siciliana bocciata in Italia e ora milionaria negli Stati Uniti

Di Mario Barresi / 17 Ottobre 2014

CATANIA – Erano i giorni della festa di Sant’Agata. L’anno scorso. Il bianco accecante dei devoti, l’odore acre del lento crepitio dei ceri. E le polpette di cavallo, con il loro fumo che avvolge – come in noir, ma in versione arrusti e mancia – i protagonisti di questa storia. Che inizia e finisce a Catania. Anche se parla di due ingegneri informatici, uno ibleo e uno siracusano; di un cacciatore di talenti, un altro ingegnere settantenne di origini indiane; e di un imprenditore californiano col fiuto di un cane, piemontese, da tartufo. Febbraio 2013: li abbiamo persi. Per sempre. O quasi. Perché l’Italia non ha capito il valore della loro idea, perché c’è un’insostenibile leggerezza dell’essere (autolesionisti) quando ci si trova davanti all’innovazione, perché magari – nonostante la parola “start up” sia talmente di moda che la usiamo anche quando apre un nuovo panificio – c’è qualcosa da rivedere nel sistema che sostiene le iniziative imprenditoriali dei giovani.
 
La storia, in sintesi. Due brillantissimi ricercatori siciliani si sono visti rifiutare un finanziamento per la loro startup, che invece oggi spopola in America. Dove ha ricevuto, sull’unghia, due milioni di dollari da un colosso dell’informatica che invece a creduto in loro. Stessa idea, identico bisogno di un sostegno nella delicata fase di trasformazione del progetto in azienda. Ma due risposte diverse: «no, grazie» dal loro Paese, «welcome» dagli Usa. Morale della (tristissima) favola? Adesso l’azienda ha sede legale in California, a Santa Clara. Crescerà lì, assumerà lì, pagherà le tasse lì. Nonostante il braccio tecnico degli sviluppatori resti a Catania, non per motivi affettivi ma «perché i nostri ingegneri sono più bravi».
Eccolo, l’ennesimo caso di cervelli in fuga, tirato fuori dal blog StartupItalia! bibbia italiana del settore. La startup si chiama “C3Dna” e i protagonisti sono Giovanni Morana (37 anni, di Pozzallo) e Daniele Zito (34 anni, di Siracusa), che l’anno scorso hanno chiesto aiuto a Invitalia, partecipando al bando “Smart&Start” per finanziare la loro idea, un sistema ad alto contenuto ingeneristico per il cloud computing, costato ettolitri di sudore e quattro anni di ricerche universitarie. Convegni e dotte dissertazioni in tutta Europa, dove hanno collezionato i consensi della comunità scientifica. Per un’idea difficile da spiegare all’uomo della strada (sintetizziamo: una soluzione più efficiente per la gestione di dati e servizi all’interno), ma non è certo “aramaico” per chi ha il compito di scegliere le migliori startup innovative. «Il nostro era un lavoro teorico, ma già erano chiare le sue implicazioni pratiche», ricorda Morana. «È come se avessimo fornito ai vari container un sistema nervoso centrale, una visione di insieme delle varie applicazioni, un “linguaggio” in grado di coordinarli e di farli comunicare, farli sentire parte della stessa famiglia, e reagire in supporto reciproco in caso di necessità. Se le aziende prima guardavano con sospetto le soluzioni open source per il cloud computing, ora potranno essere più sicure. Il nostro sistema è inattaccabile».
 
Ma l’Italia li boccia: progetto troppo complesso, troppo rischioso. «Volevamo crescere qui, creare qualcosa di grosso a Catania. Ma niente, non è servito a nulla. I tecnici di Invitalia dicevano che questo progetto non aveva futuro, che non ci avrebbero mai investito. Che i costi per lo sviluppo erano spropositati», ricorda Zito. L’amministratore delegato di Invitalia, Domenico Arcuri, spiega i motivi del mancato sostegno (circa 237mila euro la cifra richiesta) nel bando “Smart&Start”, sottolineando che Morana e Zito hanno chiesto quei fondi non come “C3Dna”, bensì come “Auctia Cognitio”, srl con sede a Catania. Il 17 aprile di quest’anno «il Comitato Tecnico ha rigettato la domanda di agevolazione, non essendo stati chiariti i legami tra la Aucta Cognitio (che richiede agevolazioni pubbliche) e la società statunitense C3Dna, evidenziando altresì criticità sui seguenti aspetti: potenzialità del mercato di riferimento, del posizionamento strategico del relativo business, delle strategie di marketing; sostenibilità economica e finanziaria». Responso confermato il 10 giugno, «in quanto le controdeduzioni inviate non sono state ritenute sufficienti a superare i profili di criticità evidenziati». La ricostruzione di Zito: «Non ci avevano capito niente. Abbiamo chiesto più volte di parlare con dei tecnici più preparati, ma non ci hanno ascoltati».
E a questo punto ecco le sliding doors dei due startupper “rimbalzati”. Nel senso che a una porta sbattuta in faccia segue un enorme portone spalancato. «Era febbraio 2013, c’era la festa di Sant’Agata, una marea di persone e una città in festa», rammenta Morana. In quei giorni, grazie all’interessamento del collega Rao Mikkilineni, arriva a Catania l’imprenditore statunitense Paul Camacho. Che crede in loro: chiede un mese di tempo. E poi li porta in California, i due cervelli siciliani. Che qualche settimana fa ottengono un finanziamento di due milioni di dollari e una sede definitiva a Santa Clara. Grazie a un altro (non italiano) che crede in loro: Kumar Malavalli, cofondatore di “Brocade Communication”, gigantesco gruppo di Itc con 2,3 miliardi di dollari di fatturato e 4mila dipendenti.
 
Benvenuti in America, addio per sempre alla Sicilia. Non è esattamente così. Perché la sede operativa rimane a Catania. Per motivi di cuore? Un po’: «Siamo siciliani, abbiamo studiato e siamo cresciuti qui». Ma anche per ragioni di business: «Tutto lo sviluppo lo facciamo a Catania, negli Usa non ci riescono». E perché mai? «Perché qui siamo più bravi», dicono scherzando. Ma fino a un certo punto. Anche se il retrogusto resta amaro: «A noi dispiace, certo. Ma chi ci ha perso è stata l’Italia, la Sicilia. Catania avrebbe avuto un centro assolutamente all’avanguardia sulle tecnologie cloud». E invece no. Uno su mille ce la fa, è vero. La California è stupenda, in bocca al lupo di cuore. Ma quanto sarebbe stato bello se Giovanni e Daniele l’avessero scoperta sotto il Vulcano, l’America?
twitter: @MarioBarresi

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Pubblicato da:
Redazione
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