Nel 1981 una guida del Touring Club, «Capire l’Italia. Campagna e Industria», segnalava il percorso turistico culturale denominato «La Sicilia dello zolfo: un itinerario nel passato e nel presente» in cui si indicavano i principali siti minerari e tra questi quelli ancora attivi (come la miniera di Floristella, ultima a cessare l’attività). «L’itinerario – si legge nella guida del Touring – ci conduce attraverso la visita alle zolfare, alla scoperta di un mondo che, se in gran parte è ridotto a paesaggio archeologico, è tuttavia ancora vivo nella memoria e nel costume della gente e senza dubbio costituisce una delle fondamentali componenti nella complessa cultura dell’Isola».
Già qualche anno dopo questa pubblicazione le miniere chiusero tutte e definitivamente, il comparto zolfifero – divenuto antieconomico per le nuove e più convenienti forme di approvvigionamento del minerale – fu abbandonato e «consegnato» ipso facto alla nascente disciplina dell’archeologia industriale che ne avrebbe dovuto tramandare la memoria con la musealizzazione delle aree minerarie dismesse e la riconversione di queste in termini storico-culturali e turistici. In tal senso nel 1989, nell’ambito del Convegno «Archeologia Industriale, conservazione e trasformazione», Anna Barbera, capo dell’Ufficio stampa dell’Ente Minerario Siciliano, e Giovanni D’Aquila, tecnico dello stesso Ente, presentarono una «Proposta per la realizzazione di un Museo della Miniera» nell’area delle provincie minerarie, con particolare riferimento alla miniera Floristella e alla miniera Ciavolotta (in territorio di Favara).
Il legislatore regionale, accogliendo queste sollecitazioni e le altre di varia provenienza, approvò la legge n. 17 del 15 maggio 1991 con la quale s’istituirono: il museo regionale delle miniere in Caltanissetta, con sede nelle miniere Gessolungo, La Grasta e Trabia-Tallarita di Riesi; il museo regionale delle miniere di Agrigento con sede in Ciavolotta; la miniera-museo di Cozzo Disi a Casteltermini e l’Ente parco minerario Floristella-Grottacalda nei pressi di Valguarnera, Enna, Piazza Armerina e Aidone. Con questa iniziativa l’Ars pose la Sicilia all’avanguardia nel riconoscere l’importanza storico-culturale ed etno-antropologica dei siti minerari dismessi. Ma nella realtà di fatto, ben poco è stato attivato e se si esclude l’Ente parco di Floristella e qualcos’altro, tutto il resto è rimasto al palo, talché la citata legge regionale 17/1991 rimane a tutt’oggi per molti aspetti disattesa e non applicata. I siti minerari solfiferi, benché in taluni casi tutelati ai sensi della legge 1089/1939 e addirittura acquisiti al demanio regionale, sono stati lasciati in abbandono e accessibili ad atti di vandalismo che ne hanno determinato un ancor più rapido degrado.
L’Aipai-Sicilia (Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale) – ci dice l’etnoantropologa Maria Carcasio, già coordinatrice regionale dell’Associazione –, insieme all’Anim (Associazione Nazionale Ingegneri Minerari) e all’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), in un documento conclusivo sottoscritto in occasione della tavola rotonda organizzata a Palermo il 24 novembre 2012 sul tema «I Parchi culturali e il patrimonio industriale in Sicilia: valorizzazione e fruizione» fra i vari punti evidenziava che: «Un’effettiva piena fruizione dei siti minerari richiede, oltre a un progetto globale di valorizzazione dei siti medesimi che tenga adeguatamente conto delle peculiarità di ciascuna unità, che possono essere in qualche caso addirittura esclusive, la continuità negli interventi per evitare che, nelle pause tra gli interventi stessi, l’assenza di una manutenzione sempre necessaria per la buona conservazione delle strutture possa compromettere ciò che era stato già recuperato negli interventi precedenti». Il codice Urbani nel 2004 ampliando il panorama dei beni culturali meritevoli di tutela, conservazione e valorizzazione includeva anche i beni di interesse archeologico-industriale, aggiornando così in modo significativo la normativa vigente in materia. Si auspica che anche in Sicilia, nonostante ci siano stati vari tentativi di adeguamento normativo non andati a buon fine, si attivi quel processo virtuoso che in modo chiaro e definitivo riconsegni alla collettività il ricchissimo patrimonio culturale minerario dell’Isola, volano certamente di una nuova risorsa anche economica da non sottovalutare.