Il personaggio
La sfida cinese di Irene Capodici
Grazie alle produzioni del Coro Lirico Siciliano, il lontano Oriente è ormai quasi una seconda casa per il mezzosoprano nisseno. «Loro hanno grandi teatri ma vuoti. Per questo cercano la lirica europea, ne sono innamorati»
La prima volta che è salita sul palco ed ha visto l’allestimento dell’Aida nella messinscena di Franco Zeffirelli ha pianto. Irene Capodici, 27 anni, da Caltanissetta è arrivata in Cina per cantare la lirica. Questa fanciulla dai folti capelli ricci e lo sguardo dolcissimo è un mezzo soprano che così giovane ha cantato nelle più grandi opere liriche. Si è laureata al conservatorio nisseno Vincenzo Bellini ed ha subito cominciato a lavorare. Adesso la Cina è diventata la sua seconda casa. Il percorso di studio è nato per caso. Una maestra l’ha sentita cantare quando faceva parte di una compagnia teatrale amatoriale, voce scura ed una melodia innata dentro. La musica, croce e delizia nella sua vita; per “lei” ha pianto e gioito. «Non si finisce mai di studiare – dice – stai mesi a ricercare un suono, lo trovi, lo senti, ci lavori e poi succede che lo perdi e ti danni».
La Capodici nell’Andrea Chenier al Centro culturale di Macao
E’ reduce dall’ultima tournée in Cina dove ha portato insieme al Coro Lirico Siciliano l’Aida di Verdi con la regia di Franco Zeffirelli, e l’Andrea Chénier di Umberto Giordano al festival di Macao, coro diretto da Francesco Costa, quello stesso maestro che raccolse il suo sfogo dopo aver visto la scenografia dell’Aida. «Da studentessa avevo visto l’allestimento solo in dvd, lo conoscevo a memoria, ma era un sogno, solo un sogno essere li dentro – racconta -. Mi sentivo, infatti, dentro un dvd, ho pianto dalla gioia. Sentivo il cuore che mi batteva, sono scesa ed ho detto al maestro che avevo voglia di cantare».
Il primo viaggio in Oriente fu traumatico, un mondo nuovo da conoscere da scoprire. «Un giorno una mia amica mi telefonò dicendomi che il coro siciliano cercava voci scure. Mi convinse a fare il provino, mi preparai in poco tempo tra studio ed altro e andai al provino, in compagnia del mio fidanzato Walter. Lo sapevo che se mi avessero presa sarei dovuta partire da li a breve ma non immaginavo così presto». La telefonata è arrivata. «Non avevo neanche la valigia – sorride -, andai a comprare tutto in fretta e furia. Il passaporto fu lo scoglio più difficile ma riuscirono a farmelo in pochissimo tempo».Seguirono per Irene due mesi tra il Sud ed il Nord della Cina, con un mare di testi da studiare: perse 15 chili per il cibo, l’aria, l’acqua e la tensione nervosa. «Le sarte stavano impazzendo, ad ogni prova dovevano stringere, non ce la facevano più – afferma -. E’ stata una bellissima esperienza ma anche traumatica per la lingua, le abitudini… Adesso vado e ritorno con molta più tranquillità».
Il mezzosoprano nisseno nella Turandot di Puccini
Due volte, ed ora la terza per altri due mesi di rappresentazioni. Ha iniziato a studiare da soprano, poi da mezzo, poi contralto e adesso è riuscita a trovare spazio come soprano Falcon che è una variante di soprano drammatico individuata nella produzione francese a metà dell’800. Il suo cavallo di battaglia è Santuzza di Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni. Tre i suoi miti artistici, Giovanna Casolla, Dolora Zajick e Violeta Urmana. Il suo sogno una carriera da solista e per questo in ogni pausa dalle tournée ritorna e studia con la sua maestra Letizia Colajanni, della quale parla con grande trasporto e gratitudine. Ricorda di quella volta che perse la voce, un dramma, non emetteva più suoni ed era accaduto in un paese straniero. Fu la mamma di una sua collega cinese, che era sposata con un italiano, ad aiutarla, le andò a prendere le medicine in ospedale. «Non appena torno lì, cercherò quella donna che mi ha salvato la voce – dice -, la voglio ringraziare ancora, è stata un angelo».
Irene Capodici sigaraia nella “Carmen” di Bizet
Ha calcato tanti palcoscenici importanti, dal Teatro antico di Taormina ai teatri lirici cinesi: «Loro hanno grandi teatri ma vuoti. Per questo cercano la lirica europea, ne sono innamorati». Nonostante la giovane età parla con disincanto del mondo artistico: «Se non sei pronto, il palcoscenico ti prende a schiaffi. Per entrare nel personaggio bisogna studiare anche le minime sfumature, capirne la storia. Bisogna essere un prodotto finito e coerente per essere scelti, prima guardavano la voce e poi il resto, adesso non è più cosi». Il complimento più bello ricevuto sino ad oggi è: “Dio ha donato la voce, con te ha fatto un miracolo”.