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La querelle di Troina: «Ma quale Tiziano, quel quadro è una “crosta”»
“Il quadro di Paolo Farnese III con il camauro esposto a Troina è una copia esterna alla bottega di Tiziano e successiva alla morte di lui che avvenne a Venezia nel 1576.” Così lo storico dell’arte indipendente Andrea Donati, profondo conoscitore del pittore veneto cui ha dedicato numerose pubblicazioni e che ha visto personalmente il dipinto (ed è l’unico specialista di Tiziano ad averlo fatto), inquadra l’opera al centro di uno scontro tra il critico d’arte Vittorio Sgarbi che la definisce “crosta” ed il docente dell’accademia delle belle arti di Catania Paolo Giansiracusa che invece ne difende l’autenticità.
Due perizie, una del prof. Maurizio Marini per cui era un “significativo autografo”, e l’altra dello storico dell’arte Lionello Puppi secondo cui c’è la mano certa del pittore veneto (entrambi defunti) avrebbero dovuto fugare ogni dubbio sul quadro lasciato al Comune di Troina dal figlio del pittore Gaetano Miano, le cui spese vive per l’arrivo del quadro nell’ennese, erano state compensate con un rimborso di 50.000 euro; ma la realtà è più complessa. “Quando ho fatto visita a Troina per vedere il ritratto di Paolo III – racconta Donati in esclusiva a La Sicilia – sono stato ospite dell’amico e collega Salvatore Lo Re, che è uno dei maggiori storici italiani del Rinascimento e il massimo esperto dello storico fiorentino Benedetto Varchi che conosceva Tiziano per aver vissuto a lungo tra Padova e Venezia. Siamo andati entrambi a Troina a spese di Lo Re e dopo la visita al dipinto il sindaco ci ha invitato a colazione. Ci tengo a dirlo, perché non sono stato pagato da nessuno per la visita, ma ho viaggiato a mie spese e soggiornato a Piazza Armerina ospite del Prof. Lo Re. Mi interessava vedere dal vivo il quadro che avevo pubblicato dalla foto Zeri nel 2012, perché nel frattempo ho continuato la ricerca e ora ho scritto un nuovo libro su Tiziano e i Farnese che spero di pubblicare presto. Per il 13 agosto ho chiesto espressamente al sindaco Fabio Venezia di non fare pubblicità alla mia visita. Volevo studiare il quadro in silenzio. Sono uno storico dell’arte indipendente e ci tengo alla mia reputazione.”
Tiziano, come spiega Donati, “lavorò parecchio per Casa Farnese e dipinse 4 tipologie di ritratti di papa Paolo III: il primo, senza camauro fu dipinto nell’aprile-maggio 1543, mentre Tiziano era ospite della corte del papa a Bologna e il quadro fu presentato ufficialmente durante l’incontro tra il papa e imperatore Carlo V a Busseto nel giugno 1543; di questo primo ritratto, di grandissimo successo, si sa per certo che Tiziano fece subito delle copie a richiesta di vari clienti, a cominciare dal cardinale nipote Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora, che chiese la copia direttamente a Tiziano il giorno stesso che fu presentato il quadro a Busseto. La prima versione originale di Tiziano, quella presentata al papa nel giugno 1543 e custodita nella guardaroba di Palazzo Farnese, oggi si ammira nel Museo di Capodimonte; invece le repliche e copie sono sparse in collezioni pubbliche e private, ed elencate nel mio libro del 2012. Due anni dopo Tiziano fu invitato a Roma da Paolo III ed ospitato nel Belvedere Vaticano, dall’ottobre 1545 al maggio 1546; durante questi 8 mesi fece vari dipinti e ritrasse nuovamente il papa più volte, in particolare lo ritrasse seduto sulla sedia con il camauro, da solo (e di questo ritratto del papa estremamente invecchiato ne esistono tre versioni all’Ermitage, al Museo di Vienna e in collezione privata) e in compagnia dei nipoti, cioè il cardinale Alessandro (che tra i tanti benefici ecclesiastici era titolare della ricchissima abbazia di Monreale) e il duca Ottavio Farnese che erano fratelli: e quest’ultimo quadro sta pure a Capodimonte. Un terzo ritratto papale, che non è affatto chiaro se fu eseguito appena Tiziano arrivò a Roma nel 1545, o prima, raffigura il papa con un volto molto simile a quello del ’43, ma con il camauro e una finestra aperta sul paesaggio di fondo: questo terzo “tipo” di ritratto esiste solo in una versione originale che si trova sempre a Capodimonte (perché là è finita la quadreria Farnese) e a differenza degli altri presenta una sola copia, per l’appunto il quadro di Troina.” Pochi giorni fa in una nuova polemica con Sgarbi, Giansiracusa aveva difeso ancora l’autenticità del quadro definito “Un’opera del 1543 studiata da Maurizio Marini e da Lionello Puppi; un olio su tela proveniente dalla Collezione dei Principi Giovannelli di Venezia (la stessa da cui proviene la Tempesta di Giorgione)”. Non è così quindi? “Giansiracusa non ha titoli per riconoscere opere di Tiziano semplicemente perché non ha mai studiato il pittore, né ha mai dato prova di conoscere la pittura veneta del ‘500: quello che dice, lo dice avendo letto (male) il mio libro, che ha usato a modo suo per sostenere un’attribuzione che nessuno può seriamente condividere. Non mi risulta che abbia titoli nemmeno per parlare di Caravaggio: che cosa ha mai scritto di valido su di lui? Ma lascio questa polemica ad altri. In generale è sempre male dare voce a chi non ha titoli per parlare e questo caso insegna molte cose. La parola va data a chi conosce i fatti, non a chi parla a vanvera. Diceva Zeri che in Italia tutti si piccano di essere storici dell’arte solo perché vivono in un paese pieno di opere d’arte: ma c’è una grande differenza tra vivere inconsapevolmente tra le opere d’arte e nella bellezza, e studiare la storia dell’arte e capire in che cosa consiste la bellezza. Il pilastro della bellezza siciliana è il paesaggio e come ho detto al sindaco di Troina, il suo paese è nel cuore di una bellezza suprema rappresentata dal paesaggio dei Nebrodi e delle vallate circostanti: questa è la vera risorsa culturale che vale la pena coltivare a Troina e in tutta la Sicilia.” Sulla provenienza dalla collezione dei Principi Giovanelli Donati sostiene che “non è provata. Non esistono infatti indizi sul quadro che lo colleghino a quella collezione (dispersa in vendita nel primo ‘900), né il quadro risulta negli elenchi inventariali storici. L’ultimo a vedere la collezione Giovannelli quando era ancora esposta nel palazzo di Venezia fu Nino Barbantini che scrisse un articolo sulla rivista Emporium nel 1908, e mai parla di un ritratto di Paolo III. È possibile che gli eredi Giovannelli abbiano venduto a Roma il quadro che poi finì nelle mani del defunto pittore Miano, così come che Miano avesse comprato il quadro in buona fede come proveniente dai Giovannelli senza averne la prova. Sulla provenienza del quadro di Troina non è possibile dire di più. Ma la parola finale spetta alla pittura e il dipinto di Troina non è di mano di Tiziano, bensì di un copista anonimo, educato alla pittura romana, non veneziana, il quale per qualche motivo ha copiato il dipinto Farnese ora a Capodimonte in un momento di gran lunga successivo alla morte di Tiziano stesso. La sola cosa interessante del dipinto di Troina è che l’anonimo copista ci restituisce la dimensione esatta della tela originale di Capodimonte che in passato è stata ridotta ai margini di alcuni centimetri.”COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA