La dignità dell’uomo non è mai materia trattabile

Di Fetah Mohamed / 16 Febbraio 2020

Perché dobbiamo proteggere il diritto della libertà di espressione da chi vuole toglierci la nostra libertà personale? Eppure siamo in un Paese democratico e tutte le persone sono libere di esprimere la loro opinione, come e quando lo ritengono opportuno.

Come facciamo, quindi, a far ascoltare la nostra voce, a lottare contro il razzismo e l’odio? La verità è che il nemico vero oggi non è il razzista che è, spesso, soltanto egli stesso vittima del sistema sociale e della politica. Un razzista che vive disagi che sono anche risolvibili quando i suoi problemi personali e sociali emergono, vengono riconosciuti e le soluzioni cercate e trovate.

Il vero rischio, invece, oggi è trattare questa problematica con superficialità, perché il risultato è che si affrontano falsi problemi sbagliati, ma ne inventano di nuovi, veri. Per esempio i tanti attivisti, o i cosiddetti esperti nel settore della migrazione, quando parlano dei migranti e dei rifugiati sbagliano, secondo me, quando trascurano l’influenza negativa di una certa cultura diffusa su questi discorsi. Alla fine affrontano solo la conseguenza del fenomeno e non analizzano mai la radice del problema.

La cultura a cui ci riferiamo non è la necessità di avere una conoscenza approfondita dei Paesi di origine o di riconoscere il percorso migratorio seguito da questi esseri umani, ma la metodologia di pensiero, il comportamento e la mentalità con cui affrontiamo i problemi e cerchiamo i rimedi, sia durante che dopo l’arrivo dei migranti.

Bisogna allora sensibilizzare tutti a utilizzare nuovi metodi per affrontare gli effetti negativi della distorsione di questa cultura, che alla fine ha prodotto, e sta producendo, tonnellate di odio e pregiudizi e non lascia nessuna possibilità alle persone migranti, tranne che generiche solidarietà e, inevitabilmente, la chiusura e l’emarginazione nei ghetti, in nome di quel sentimento di odio che arriva da parte (e da una parte, ovviamente) della società che li accoglie.

L’assenza di tutti questi temi nel dibattito è dovuto al fatto che i media danno spazio ai politici che, prevalentemente, usano il tema della religione e quello della paura nell’affrontare e proporre la questione migrazione e replicano all’infinito tutte le menzogne che accrescono le paure della società smarrita di oggi. Paure come la perdita di identità e il mescolamento della razza, o la perdita della ricchezza. Il tutto fatto per seminare odio, anche quando la persone di cui si parla sono proprio quelle che vivono in povertà da secoli.

Dall’altro lato di questo dibattito, spesso a senso unico, ci sono rifugiati e migranti che vivono nei ghetti in condizioni di schiavitù e nessuno, sempre più spesso, vuole sapere più niente di loro: e sono persone che hanno scelto per questo di vivere lontano dall’odio, distanti dal vicino che parla come Salvini, così come gli parla il portiere, il macellaio e l’autista, tutti accomunati da quei sentimenti di diffidenza quando va bene, di odio e ripulsa, di cattiveria e ferocia quando si perde il senso dell’umanità. Parlo di persone che vagano nelle campagne e nei ghetti come entità spaventate, ansiose e che odiano la vita che li ha portati in questo nuovo posto a loro estraneo. Sono fantasmi che lavorano sotto il sole o nel freddo in una delle campagne di Sicilia, Puglia o Calabria, vanno a letto con lo stomaco vuoto e passano la notte sempre temendo di trovarsi morti bruciati. E per questo vorrebbero fuggire da quella vita, ma il sonno e la stanchezza ogni giorno hanno il sopravvento e crollano in quelle brande.

Ogni tanto si svegliano spaventate dal buio o da un terrificante incubo generato dal panico che non passa mai, ma poi provano a riaddormentarsi, per guadagnare energia, perché domani poi, quando ancora fuori sarà buio, andranno al lavoro. Per sopravvivere.

Così queste persone trascorrono i giorni e le notti in modo fastidiosamente arrabbiato e piano piano si abituano a questo disagio e a questo malcontento.

Ma possiamo noi accettare che sia questa cultura ad avere il sopravvento? Possiamo noi non sentirci responsabili di questa vita fatta di sofferenze? Possiamo accettare che si semini paura, si creino psicosi, per raccogliere consensi elettorali?

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Pubblicato da:
Redazione
Tag: caporalato commenti diritti razzismo schiavitù