Un tema affrontato pochi giorni fa da Totò Cuffaro ed anche da Papa Francesco: «Il carcere come punizione. E questo non è buono. Non c’è una vera pena senza speranza. Se una pena non ha speranza, non è una pena cristiana, non è umana. Per questo, la pena di morte non va. L’ergastolo, così freddo, è una pena di morte un po’ coperta» dice Papa Francesco. Una pena di morte in bianco è la definizione che ne dà nella sua tesi di laurea il gelese Maurizio Angelo Moscato ex picciotto di Cosa nostra, clan retto da Piddu Madonia .Di quel giovane soldato attivo nella guerra di mafia che sconvolse Gela alla fine degli anni Ottanta e oggi resta solo la pena al carcere a vita. In un luogo non luogo – come lo definisce. Un carcere che ha conosciuto giovanissimo (aveva vent’anni e in tasca la licenza media ) e nel quale si trova recluso da 24 anni. Maurizio Angelo Moscato ha concluso il suo processo di riscatto e liberazione il 21 gennaio scorso quando, in una stanza del carcere di Livorno, presenti i docenti dell’Università Tor Vergata di Roma e i suoi congiunti, è stato proclamato dottore in Lettere con il massimo dei voti e la lode. Relatore è stato il prof. Alberto Manodori Sagredo. La storia di un cambiamento vero è tutta contenuta nelle 83 pagine della tesi “Il valore della fotografia e la memoria fotografica di Gela”. Un lavoro che scorre su due binari: la riflessione sul valore umanistico della fotografia e la memoria della città natale . Il treno è uno solo e lo guida un uomo che ha voluto guardare dentro di sé in un momento particolare della sua vita scoprendo da una parte che la trasformazione vera di un individuo è quella dell’animo e può avvenire solo attraverso la magia della cultura .Dall’altra però che questa trasformazione per chi è ergastolano rimane fine a se stessa. «È qualcosa che si è conseguito per sé, se sei destinato alla morte in carcere» scrive Moscato. Che poi specifica: «Cambia condizione e ha i benefici di legge chi fa il delatore, spesso a convenienza. Così vuole la legge italiana contro cui Moscato si oppone con delicatezza affidandola protesta ai sentimenti della sua anima ma anche a ciò che i docenti del percorso universitario potranno fare ponendo la questione nelle sedi giuste.
Nella storia di Maurizio Moscato ex picciotto oggi dottore in Lettere è entrata la magia della cultura che gli ha fatto capire che «la vera prigione è accettare di essere prigioniero». Un tassello fondamentale è stato, dopo il teatro, la fotografia cui ha dedicato una tesi importante con la quale riallaccia a distanza il legame affettivo con la sua città . «Il carcere – sostiene – è uno spazio dimenticato dalla società che però esiste e la fotografia in carcere svolge un ruolo insostituibile , è una finestra sull’altra parte del mondo che si chiama libertà, la gioia di affacciarsi da quella finestra ma anche la malinconia nel riflettere su ciò che puoi solo ricordare della tua vita passata». Ogni foto trovata su internet , sui libri, sulle pagine del nostro quotidiano o spedita dai familiari è un’entità energetica che ricorda che l’essere deve sopravvivere anche in carcere. Nel suo cammino di cambiamento Gela non è più la città della guerra di mafia ma quella di un patrimonio archeologico immenso, conosciuto solo ora tramite le foto e da cui si sente attratto. Il viaggio fotografico di Gela tocca il mare, la natura, l’industria, monumenti principali con cenni storici e la capacità di cogliere anche da lontano, tramite l’immagine i mutamenti avvenuti nel territorio. Tanti tasselli uno dopo l’altro a raccontare dal carcere come quella città che ha lasciato da ragazzino non è come prima ma anche una vetrina dei suoi punti di forza e debolezza. Nei capitoli della tesi c’è una la città violentata e quella incontaminata . Storia di una città cambiata così come è cambiato nel cuore e nell’animo quel ragazzino ventenne finito in carcere. Che ora con la forza della cultura e le conoscenze pedagogiche acquisite chiede che si accendano i riflettori sulle carceri dove c’è tanta gente dimenticata che ha voltato con sincerità le spalle al male e che potrebbe essere recuperata. Non cercano applausi i familiari di Maurizio Moscato per il traguardo della laurea raggiunto. É stato un momento emozionante ed unico – come ci racconta il fratello – con una sensazione agrodolce. E ritorniamo al punto di partenza. A leggi dure che non ammettono di far tesoro di un cambiamento vero della persona.