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La cucina tipica fa girare i viaggiatori Anche in Sicilia è l’ora del food tourism

Di Carmen Greco |

Non per niente la Sicilia è stata inserita tra le dieci regioni selezionate in termini di attrattività turistica e cultura enogastronomica. «L’idea – spiega Elena Bisio co-founder di Foody assieme a Michele Arleo, Simone Campinoti e Rishabh Jain – era creare una piattaforma in cui le persone del posto, i “local”, potessero offrire esperienze enogastronomiche ai viaggiatori. Ci consideriamo come quell’amico che ti prende per mano e ti dice “ora ti porto io”. Non proponiamo guide turistiche, proponiamo relazioni con le persone».

Foody è, infatti, la versione mangereccia di Airbnb il portale online che mette in contatto le persone in cerca di un alloggio, con persone che dispongono di uno spazio da affittare, generalmente privati. La differenza è che, in questo caso, il “local host” offre ai viaggiatori attività enogastronomiche.

Infatti le “esperienze” possono essere le più disparate ma sempre con un filo conduttore: il cibo. Per esempio, si può andare in Toscana a caccia di tartufi accompagnati dal cavatore e dai suoi cani, a Genova per imparare a fare il vero pesto al mortaio, a Palermo a fare un street food tour tra panelle e sfincioni, a Pescara per calare le reti con un vero pescatore, a Modica per scopire i segreti della lavorazione del cioccolato, sull’Etna per partecipare ad una vendemmia, e così via.

Come funziona? Chi intende proporre un’esperienza del genere, va sul sito

https://www.foodyexperience.com, si registra, crea un profilo personale e presenta, anche con foto, la propria attività enogastronomica, specificando la propria disponibilità e il prezzo. L’idea viene esaminata e, se interessante, entra a far parte della lista delle attività. A quel punto il viaggiatore a caccia di “esperienze”, prenota l’attività e paga on line all’host.

«I local host – continua Bisio – propongono le loro attività in completa autonomia – noi siamo solo uno strumento per far incontrare i viaggiatori con le persone del luogo. Persone che possono essere diverse, dal privato cittadino, alla guida turistica, al produttore che, magari, vuole proporre una degustazione dei suoi vini.

Non ci stiamo inventando nulla l’aspetto innovativo è quello di implementare un qualcosa che esiste già. Il web è pieno di gente che organizza le cose più disparate. Noi fondamentalmente facciamo incontrare la domanda con l’offerta. La cosa più importante è instaurare quella connessione con il posto che, quando si viaggia, si cerca sempre. Quante volte sarà capitato di partire e chiamare uno del posto, magari un parente per chiedergli delle dritte su cosa visitare o cosa mangiare?». Le attività possono durare dalle due ore di una cooking class a Palermo, ad un weekend enogastronomico a Siracusa, piuttosto che al tour di una regione o dell’Italia sempre in chiave enogastronomica.

L’identikit del local host è variegato, si tratta di persone tra i 30 anni e i 50/60 anni, in genere già inserita nel settore turistico ma c’è anche chi spera di farne un lavoro vero e proprio. Dal punto di vista normativo, valgono le leggi nazionali e locali sia a livello fiscale che legale.

Per stare su Foody (che non è un’app per smartphone, cioè non si scarica da Apple store oppure da Google play ma è rivolta a chi naviga su internet) non si paga, ma c’è un costo del servizio del 22% che viene applicato per il 10% al viaggiatore che prenota e per il restante 12% all’host secondo il modello utilizzato ad altre piattaforme come, per esempio, la stessa Airbnb.

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