A volte i luoghi raccontano una storia, che è fatta di persone, di oggetti, di sapori. Così Mosè, la tenuta di proprietà della famiglia Agnello da cinque generazioni, dove Simonetta (ora in Hornby) ha passato tutte le sue estati fin dall’infanzia, ha cresciuto i suoi figli per metà inglesi e i suoi nipoti totalmente britannici. Ora quella radice culturale da intima diventa pubblica: ne è nata una trasmissione televisiva di cucina ispirata alle ricette della tradizione che si consumavano nei pranzi estivi della famiglia, un libro che ne riassume tutti gli ingredienti e soprattutto un agriturismo dove le stesse sorelle tramandano ad ospiti più o meno occasionali la loro storia, quei luoghi, quei sapori. Insomma Mosè è un patrimonio di cultura che viene messo a disposizione e condiviso, perché la condivisione è proprio il principale dei componenti di questa accattivante storia.
Come racconta la scrittrice Simonetta Agnello Hornby nel libro che s’intitola ‘Il pranzo di Mosè’ (appena uscito da Giunti) dal 1948, da quando aveva appena tre anni, con tutta la famiglia si trasferiva per le vacanze estive nella campagna vicino ad Agrigento, a pochi chilometri dalla Valle dei Templi e a pochi chilometri dal mare. Era dall’inizio dell’Ottocento che la tenuta di circa cento ettari era stata acquistata da un ricco medico di Favara, Gerlando Giudice, trisnonno di Elena (mamma di Simonetta) che poi la ebbe in eredità.
Ritorti ulivi secolari chiamati ‘saracenì (”perché da noi, tutto ciò che è antico o bello si attribuisce agli stranieri”), fichi, mandorli, pistacchi, agrumi, una vigna e un orto che ampiamente soddisfacevano le esigenze della famiglia aperta alla più ampia ospitalità. Senza telefono spesso le bambine di casa, lei e la sorella Chiara (autrice delle ricette del libro) aspettavano gli ospiti sulla porta nei pomeriggi assolati. La famiglia ruotava intorno a questa idea di accoglienza che ha fatto nascere tante ricette discusse ogni mattina nel salotto della casa, tutti insieme. Idea di convivialità che si riassume meravigliosamente nell’abitudine della madre Elena e della zia Teresa di fare tutto in nome dell’ospite, anche imitarne gli errori per non metterli a disagio. E insieme amore per la cucina, perché “cucinare non è mai una perdita di tempo. Quando compriamo i cibi già cotti – scrive – accettiamo qualcosa di estraneo a noi, non sappiamo bene come sono fatti, quando e da chi. Perdiamo la nostra identità se viviamo solo di ciò che è bell’e pronto, preparato da estranei. E perdiamo anche la nostra umanità, l’uomo è l’unico animale al mondo che pianta, alleva e cuoce il cibo di cui si nutre”.
Il racconto si trasforma quindi alla fine in un elenco di ricette, i menù dei loro pranzi rielaborati da Chiara che ora vengono offerti agli ospiti della Fattoria che è diventato agriturismo e presentati nel programma tv su Realtime, ‘Il pranzo di Mosè’, che dà il titolo al libro ed è ovviamente ambientato nelle essenziali stanze della tenuta tutte arredate con mobili antichi donati via via, nel tempo di una casa che è storia, dagli amici. Del resto anche il più meraviglioso dei pranzi è quello fatto con gli avanzi.