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La comunità islamica in Sicilia «Denunciamo i musulmani
Catania– Siamo nel cuore di Catania, che più cuore di così non potrebbe essere. Alla Civita, proprio in piazza Cutelli, c’è la Moschea della Misericordia. E’ una delle tre autentiche moschee presenti in Italia, costruita con tutti i criteri della tradizionale architettura che ha ispirato la realizzazione delle moschee in tutto il mondo. Proprio qui, spiegano da sempre i musulmani che vanno a pregarci, perché Catania è una città che ha una straordinaria atmosfera che ricorda e riporta al mondo arabo, per tradizione, per storia, per cultura. Per presenza di una comunità perfettamente integrata.
E qui Abdelhafid Kheit, laureato in Economia e Commercio in Algeria, di professione commerciante, attuale Imam della Moschea della Misericordia, presidente della Comunità Islamica di Sicilia, membro del Consiglio di saggi (Associazione Italiana degli Imam e guide religiose), membro fondatore (Associazione italiana del insegnamento del corano), ci spiega che aria si respira in Sicilia a proposito di Isis e terrorismo. Ce lo spiega all’indomani dell’espulsione di due tunisini, ordinata dal Ministero dell’Interno, perché i due erano fortemente sospettati di essere vicini, quanto meno simpatizzanti, di movimenti terroristici. E allora, quanti rischi si corrono da queste parti?«Sono d’accordo, su questo, con il ministro Alfano: non ci sono luoghi a rischio zero, dunque anche qui bisogna tenere alta l’attenzione, senza nasconderci di fronte ad una situazione estremamente delicata. Detto questo, però, a proposito delle due espulsioni di ieri, vorrei anche dire che la paura non può giustificare azioni che penalizzino i diritti di chi vive in questa terra. Noi abbiamo la massima fiducia nella magistratura, ma i due provvedimenti di ieri ci sono sembrati francamente eccessivi».
Ma la difesa dell’Imam qui comincia e qui, con molto equilibrio e saggezza, si conclude. Perché a tenere gli occhi aperti sulla comunità islamica è la comunità stessa, che rischia di essere, poi, la prima vittima di qualunque atto di violenza o gesto di intolleranza.«Vigiliamo, attivamente e sempre – spiega Abdelhafid Kheit – all’interno e all’esterno della Moschea, nei luoghi dove ci si incontra. C’è nella comunità la massima attenzione a cogliere qualunque sfumatura, qualunque espressione o comportamento che possa minimamente far sospettare una posizione non compatibile con la ricerca costante della pace e della misericordia che c’è in tutti i musulmani».
Tradotto in fatti concreti il pensiero dell’Iman, significa che la comunità, e soprattutto i suoi vertici e i responsabili, sono molto attenti ai comportamenti dei musulmani. E se si accorgono che qualcosa non va?«E’ successo, è successo. Io ho denunciato poco tempo fa tre persone, i cui comportamenti ci avevano insospettiti. Collaboriamo attivamente con le autorità giudiziarie, con le forze dell’ordine, con la questura di Catania, con la Digos».Ma come e da dove nascono i sospetti di cui parla l’Imam? Quando scatta il timore all’interno della stessa comunità islamica e si arriva alla decisione di fare una segnalazione agli investigatori italiani?
«Ascoltiamo con attenzione tutti coloro che vengono nella nostra moschea, un luogo dove si prega, ma anche dove si studia, ci si incontra, ci si confronta sui temi più attuali. Ed è qui che capita di sentire qualcuno usare parole, termini, espressioni che accendono sospetti. Sono parole che incitano all’odio, allo scontro, magari anche alla violenza. Lì scatta la nostra azione di controllo, lì siamo ancora più vigilanti e se pensiamo che possa esserci effettivamente un pericolo, non esitiamo a denunciare tutto alle autorità».Funziona così. Lo sanno i musulmani di Catania e di Sicilia, la guardia non si abbassa mai. Le forze dell’ordine lavorano da queste parti con una attenzione se possibile ancora più alta che altrove, perché da qui transitano centinaia di migliaia di immigrati che sbarcano e, quando possono, se ne vanno altrove.
Tra il 2013 e il 2015, dice Abdelhafid Kheit, sono passati dalla Sicilia almeno 170 mila musulmani, un numero enorme, difficile capire chi ci sia dentro quella massa che si muove e che transita da qui per poi raggiungere altre città o altri Paesi. Ma, chiediamo all’Imam, quanta paura c’è da avere qui? Sarà vero che l’Isis teme la mafia e, dunque, da noi non accade nulla? Abdelhafid Kheit sorride, assai poco convinto di questa teoria: «Non penso proprio che sia questo il motivo per cui quest’area sembra più tranquilla di altre zone. Piuttosto, direi che qui c’è un’atmosfera di grande collaborazione, di massima integrazione, di rispetto. Noi, per esempio, collaboriamo tantissimo con la chiesa catanese, c’è con padre Zito un dialogo costante, abbiamo rapporti con i Focolari, con la Caritas, con il Banco Alimentare. C’è una sintonia straordinaria, e penso che questo sia uno dei motivi per cui si respira un’aria di maggiore serenità. Ma noi vigiliamo comunque, questo sia sempre chiaro».
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