La città e Bianco un anno dopo

Di Antonello Piraneo / 09 Giugno 2014

Un anno. Nella storia amministrativa di una città non può che essere una panoramica finestra temporale da cui affacciarsi per scorgere le cose fatte e le cose non fatte. Un anno è una parentesi ancora aperta.
Un anno con Enzo Bianco, di nuovo, per la quarta volta. Per questo, forse anche per questo, Catania – così disillusa da essere finalmente impermeabile a lusinghe e promesse – ha vissuto gli ultimi dodici mesi senza andare in luna di miele con il nuovo/vecchio sindaco. Pretendendo che si andasse subito alla risoluzione dei nodi irrisolti, non concedendo né tempo né alibi al sindaco, neanche quello dei conti ancora da raddrizzare dopo un’altra lunga parentesi, quella dell’ubriacatura berlusconiana, qui tradottasi nei due mandati di Umberto Scapagnini, pagata politicamente da Raffaele Stancanelli, uomo sinceramente di Destra e senza cedimenti alla deriva populista e demagogica, che pur avviò la necessaria opera di risanamento.
Un anno dopo l’elezione di Bianco già al primo turno delle Amministrative del 9 e 10 giugno 2013, Catania intanto è tornata a essere una città in cui accade qualcosa. Magari saranno scosse intermittenti, registrabili con periodicità random, ma ci sono. E spezzano l’inerzia di questi lunghi giorni di crisi in cui pare che nulla possa cambiare.
Accade che venga il Capo dello Stato a presenziare alla firma del Distretto del Sud Est, che anche al netto dei toni enfatici con cui viene descritto resta un vero progetto di sviluppo. Accade che la mai sopita vocazione metropolitana trovi adesso sponde normative e consensi extracittadini. Accade che si affrontino, pur tra mille difficoltà ambientali e altrettante resistenze, il problema dell’abusivismo commerciale, la piaga della illegalità diffusa, il nervo scoperto della trasparenza amministrativa, che – è bene ricordare – a monte è garantita soltanto dalla massima diffusione, quindi attraverso i mezzi d’informazione, dei bandi di gara e dei provvedimenti adottati.
Accade che si tracci una linea ai debiti con imprese e fornitori e si cominci a saldare qualcosa dell’enorme carico pregresso.
Accade che si immagini – per adesso si immagina soltanto – una mobilità diversa, con un uso più razionale del mezzo privato e di quello pubblico, anche se a oggi – va riconosciuto – la cosa più rivoluzionaria in materia di trasporto pubblico resta il Brt varato dalla precedente amministrazione. Accade che si decida di pedonalizzare il Lungomare almeno una volta al mese senza sperare di accontentare tutti. Accade che si vada oltre i rigidi schemi degli schieramenti per dire sì al Registro delle unioni civili.
Accade che Catania torni nel circuito dei grandi eventi come mostrerà plasticamente la due giorni di Ligabue al Cibali, a un anno esatto dal ritorno di Bianco a Palazzo degli Elefanti. E non sono solo canzonette, a patto che anche un concerto venga fatto rientrare in un progetto di “città da vivere”, brillante anche nell’animo e nell’offerta turistica. Per esempio alla Plaia, dove l’accoppiata mare-cabina non regge più come dimostra il calo delle presenze nei lidi, e quindi serve inventarsi altro in termini di strutture e di entertainment.
In questo stesso anno accade pure che si scelga con tempistica svizzera di abbattere il cavalcavia Gioeni salvo procedere a tentoni sul dopo, disegnando a occhio tracciati, rotatorie e segnaletica, come sperimentato dai catanesi. Accade che lo stesso decisionismo s’inceppa su altre e fondamentali questioni, invece rimaste avvolte come da una nebulosa: per esempio su corso dei Martiri, coprendo di fatto l’assordante silenzio delle ruspe dei privati che dovrebbero risanare la ferita del vecchio San Berillo sulla base del progetto dell’archistar Cucinella, operazione peraltro oggi difficile anche sul piano finanziario. Accade che si vari il Regolamento Edilizio, anche se da solo rischia di valere poco: anche forti di una maggioranza fin qui poco malpancista, si deve adesso imboccare il bivio decisivo per il Prg o perlomeno per la variante sul centro storico, di impatto altrettanto forte in quella che resta la città della manicola.
Un anno. Per la politica spesso è soltanto il tempo per approcciare un problema. Invece no. Oggi la politica non può avere tempi diversi da quelli del vissuto quotidiano. Compito di un sindaco, certo, non è aprire imprese, ma favorire il loro insediamento sì. Un sindaco non crea lavoro ma le pre-condizioni perché si moltiplichino le occasioni di lavoro. Il Comune può ben essere un concreto acceleratore di impresa se accorcia la filiera delle decisioni, se riduce i tempi morti per il rilascio di permessi e autorizzazioni, se favorisce la cultura del fare, se interloquisce da pari a pari con la Regione. E’ quello che occorre, al di là di ogni accento retorico.
Un anno. Per un imprenditore come per un lavoratore è un lasso di tempo che può spostare il macigno che pesa su ambizioni e sogni, dodici mesi che avvicinano a un orizzonte di speranza o spingono verso il baratro.
Un anno. A ben pensarci, per tutti deve essere molto più che una parentesi ancora aperta nell’equazione della vita.

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