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La Catania greca tra mito e rito: il racconto delle offerte votive
La mostra – spiega Maria Costanza Lentini, direttrice del Polo regionale e curatrice della mostra con Fabio Caruso e Antonella Pautasso dell’Ibam – è concentrata soprattutto sul rito e sui reperti della cosiddetta «stipe votiva» di piazza San Francesco, un deposito – scavato all’interno del tempio che sorgeva nell’area dell’attuale chiesa di San Francesco all’Immacolata – dove venivano gettate e conservate le offerte votive che i fedeli dedicavano alle divinità. Il tempio era dedicato a divinità arcaiche sconosciute e poi alla dea Demetra.
La stipe – una delle più ricche del Mediterraneo occidentale – venne ritrovata per caso, nel 1959, durante lavori di scavo in piazza per la realizzazione dei sottoservizi e le migliaia di oggetti offerti e gettati nel fosso/deposito, circa 7.000, furono recuperati in maniera rocambolesca ed estratti dal fango e dall’acqua alta grazie all’impegno di studiosi, studenti e appassionati che cercarono si sottrarre questo tesoro alla violenza distruttiva del costruttore Costanzo che, nonostante il fermo dei lavori imposto dalla magistratura, coprì il sito con una colata di cemento. Un salvataggio che non ha potuto rispettare i criteri scientifici di scavo e per questo non è stato possibile ricostituire molti degli oggetti votivi.
Alla «stipe votiva» di piazza San Francesco sono dedicate le teche centrali della mostra articolata in base alle fabbriche di provenienza dei reperti: Mileto, Samos, Chios, Clazomene, Teos. Fabbriche greco-orientali accomunate dallo stile caratterizzato dalla presenza di animali, e per questo detto «delle capre selvatiche». Le ceramiche votive provenivano da varie parti della Grecia orientale e raggiungevano la nostra costa anche grazie al porto che si trovava non lontano dal tempio. Nelle teche è esposto un piccolo gruppo di rare ceramiche laconiche, provenienti da Sparta dell’epoca arcaica, tra cui un fondo di coppa con un’arpia/sirena – donna-uccello collegata ai riti funerari – che regge l’anima di un guerriero.
La direttrice del Polo Museale e curatrice della mostra Maria Costanza Lentini
E poi tante ceramiche corinzie del VII e VI a.C. – vasi per versare il vino con animali e figure fantastiche, vasetti per unguenti, materiale miniaturistico – e ceramiche calcidesi, rare sebbene Catania sia una colonia calcidese. Sembra, infatti, che le fabbriche non erano in Eubea, ma forse nella stessa Catania e più probabilmente a Reggio Calabria. E ancora ceramiche attiche a figure nere del VI a.C. tra cui un grande cratere arcaico, un’anfora con scene di Eracle che lotta con il leone Nemeo, un’anfora a protome equina usata come logo della mostra, e una splendida coppa per bere con vari registri di decorazioni: duelli di guerrieri, animali, raggi.
Altre bacheche sono dedicate alla coroplastica, ai vasi unguentari configurati con figure di animali – cavalli, scimmie, lepri, pantere (il gatto si diffuse solo in epoca romana), ricci, tori (potrebbero rappresentare la divinità fluviale Archeloo) – e di Kore arcaiche, fanciulle che portano un fiore di loto o una colomba, sacra ad Afrodite, e le altre di periodo ellenistico con le spighe di grano e con il porcellino. E poi ci sono vari tipi di uccelli, di divinità sedute, di protomi, cioè di maschere, immagini forse della divinità forse dell’offerente.
Alle pareti, poi, sono esposti reperti ritrovati ai Benedettini, alla Purità e in via dei Crociferi. Inoltre sarà esposta una statua in marmo di Cerere, rimodellata in epoca severiana nel III d.C., proveniente dai depositi di Castello Ursino. Statua ritrovata al teatro antico dove Houel la ritrae in una sua gouache esposta anch’essa a Castello Ursino. In mostra ci sono anche dei «thysiai», dei banchetti rituali – caratterizzati da una pentola in ceramica con attorno i contenitori per i pasti consumati in onore delle divinità – ritrovati lungo le mura della città, anch’esse considerate un circuito sacro.
In una parte del grande spazio espositivo ci sarà anche una mostra didattica, concessa dall’università di Lille 3 Halma-Ipel, dal titolo «Le terrecotte greche. Per chi? Perché? Come?». La mostra presenta pannelli che spiegano con testi e immagini i modi di produzione delle terrecotte figurate greche e il significato che hanno nei vari contesti. Sarà realizzato anche un laboratorio per spiegare come si modellano le statuette, a cosa servivano e a chi erano dedicate.
Una mostra importante in una città che attende da decenni un museo archeologico per il quale l’Unione europea ha stanziato, nel luglio del 2016, 5 milioni per rifare le coperture e gli impianti e per recuperare e rifunzionalizzare il piano terra e il primo piano. Lavori che ancora non sono neppure iniziati perché si attende ancora la progettazione esecutiva.
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