Una storia vera, anche se ampiamente romanzata. Un eroe romantico come se ne vedono ormai di rado, il romanticismo degli eroi “contro” cari a Ken Loach. Un piccolo mondo perduto e struggente, l’Irlanda rurale degli anni 30, che tornava a sperare malgrado le ferite della guerra civile e la depressione. Ma soprattutto un film «che rimette in discussione il luogo comune secondo cui la sinistra è moribonda, deprimente, ostile all’umorismo, al piacere e al divertimento», per dirla con il suo regista.
Applauditissimo a fine proiezione dalla stampa, che batteva addirittura le mani a tempo, Jimmy’s Hall è un concentrato di energia che resuscita un personaggio leggendario nell’Irlanda del Nord. Anche se come sempre in Loach nessuno è un’isola, la luce che illumina ogni protagonista arriva dal mondo circostante. E il mondo a cui fa ritorno Jimmy Gralton, dopo dieci anni di lavori di ogni tipo a New York, aspetta solo qualcuno in grado di riaccendere la voglia di vivere che si porta dentro.
Magari rimettendo in piedi un capannone abbandonato in campagna che una volta era il punto di incontro dela giventù. E oggi torna a essere un posto in cui si fa di tutto, si canta, si balla, si studia pittura e letteratura, ci si incontra per discutere. E ci si scatena a ritmo di jazz, la “musica del diavolo” che il bel Jimmy ha riportato con sé da New York, insieme a un grammofono nuovo fiammante, una cosa mai vista da quelle parti. E alla capacità di riaprire, con quel centro nella contea di Leitrim, questioni mai chiuse davvero. Come la disputa fra contadini e grandi proprietari per l’uso delle terre. Tanto che presto contro il Jimmy’s Hall scenderanno in campo tutte le forze conservatrici del paese, la Chiesa, la polizia, le classi padronali…
Come Loach ricorda con un pizzico di schematismo forse. Ma temperato da un buonumore contagioso e da una capacità di dare vita con pochi tratti a personaggi straordinari che resuscita la grandezza e la generosità di certi film di John Ford. Anche se con molta nostalgia e disillusione in più.