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«In Sudamerica in sedia a rotelle», la storia del ragusano che ha parlato all’Onu

Di Carmen Greco |

Andrea Caschetto è uno che non si ferma mai.

Seduto ad un bar vicino alla stazione di Catania è in attesa di predere il treno per Ragusa, la sua città d’origine. Forse non si rende conto che potrebbe essere un’impresa molto più ardua del tour durato poco più di un anno che l’ha portato in giro per gli orfanotrofi di tutto il mondo. Un giro che gli è valsa la nomina sul campo di “ambasciatore del sorriso”, che l’ha portato a tenere una lezione sulla felicità al palazzo dell’Onu e che ha raccontato in un libro-diario alla terza ristampa in un mese. In questi giorni è stato a Catania e Messina per presentarlo, alla “Feltrinelli” e alla “Casa di Giulia”.

Perché proprio gli orfanotrofi?

«Perché la mia prima esperienza è stata a 19 anni in un orfanotrofio in Sudafrica. Lì mi sono accorto che ricordavo tutto quello che avevo visto ed è stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita. Così ho deciso di andare negli orfanotrofi perché per me sono luoghi di emozione che mi aiutano con la memoria. A 15 anni, ho avuto questo tumore alla testa (lo chiama Wilson ndr) e da lì in poi grandi difficoltà di memorizzazione e di conseguenza, difficoltà con lo studio. Grazie a quel primo viaggio in orfanotrofio ho scoperto che le cose che toccano le emozioni passano dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine. Per questo ho voluto fare un viaggio che potessi ricordare per tutta la vita e quale luogo migliore degli orfanotrofi? Dal Sudafrica, Brasile, mi ricordo tutto. Non mi ricordo più nulla delle mie serate in giro o in discoteca, perché si vede che non hanno colpito le mie emozioni».

Quindi al di la del viaggio è stata anche un’esperienza terapeutica per te…

«Sì senza dubbio, sono viaggi che mi aiutano ad allenarmi con la memoria

Dove abiti?

«Non ho casa in questo periodo. Sto girando l’Italia per fare conferenze e non ho un punto fisso».

Ma cosa significa per te “tornare a casa”?

«Tornare in Sicilia. Come punto di riferimento la casa a Modica o a Sampieri, sul mare. Per me la Sicilia è il mare. A Ragusa, dove sta mia madre sto poco. Io sto bene solo quando vedo il mare infatti il giro del mondo l’ho fatto preferibilmente in Paesi sul mare. L’ultima volta sono stato qui due mesi e mezzo per finire il libro, anche se in realtà la gran parte l’ho scritto durante il viaggio, una specie di diario».

Hai 26 anni, cosa vuoi fare da grande?

«Non lo so, ci sono varie opportunità che già si stanno aprendo. Continuare nell’ambito della scrittura sarebbe già un’opzione il libro è alle terza ristampa nel giro di un mese: è andata benissimo».

Chi ti finanzia per i viaggi?

«Ho fatto il giro del mondo con 4000 euro di borse di studio che avevo io, adesso invece ho le sponsorizzazioni private. Ci sono persone che mi dicono: vuoi andare in Kenia? Ti pago il volo».

Beh, non potrai vivere tutta la vita aspettando che qualcuno ti paghi un biglietto per andare da qualche parte, ce l’avrai un’idea sul tuo futuro.

«Io, a differenza di tutti gli italiani in generale che se non hanno una cosa fissa stanno male, idee fisse non ne ho. Continuerò a scrivere per vivere. I proventi di questo primo libro andranno in beneficenza, ma gli altri libri per bambini che ho intenzione di scrivere saranno per me. Ne ho tantissime di idee e progetti non ho questa urgenza di dire “domani che farò” so solo che domani vorrò ancora viaggiare. Appena mi passerà questa voglia inizierò a stabilizzarmi in un luogo».

Tua mamma e tua nonna che ne pensano?

«Sono orgogliose e preoccupate nello stesso momento, è normale.

A parlare all’Onu come ci sei finito?

«Grazie all’Associazione dei diplomatici che mi hanno aiutato e mi hanno fatto andare lì per essere testimonial nella Giornata mondiale della felicità».

E per te cos’è la felicità?

«Aiutare i bambini».

Quanti orfanotrofi hai visitato finora?

«Non lo so, non li ho più contati, c’erano posti in cui mi facevano entrare e altri in cui mi era vietato. Posso dire di aver fatto attività, solo nel 2015, con 8.800 bambini, in tutto il mondo. Da allora non li ho più contati non sono numeri i bambini. Vado lì senza problemi e li faccio giocare, mi hanno sempre ospitato, a volte mi hanno osipitato delle famiglie che hanno diviso con me quel poco, anzi quel quasi nulla che avevano».

Hai denunciato la pedofilia in alcuni orfanotrofi, queste tue denunce hanno poi un riscontro?, Si arriva a qualcosa?

«Purtroppo se non fai un video che testimonia la situazione, le denunce sono aria fritta, soprattutto all’estero. Se un bambino o un adolescente mi raccontano di essere stati molestati potranno sempre dire che sia una cavolata, quindi il mio punto di vista si è spostato sull’interesse dei bambini. Cerco di spiegare loro che se un adulto li avvicina dicendo “sembri più grande dell’età che hai”, quella può essere una spia di qualcosa che non va, in ogni caso dico loro che è molto importante raccontare subito quello che è accaduto, spiego che è meglio scappare, spiego come comportarsi. Ho preferito metterli in guardia».

Nelle tue conferenze parli non solo di pedofilia, ma anche di sesso, di omosessualità, di parità, tutti argomenti che a scuola in genere non si toccano… Gli adulti ti hanno mai ostacolato?

«Quello che mi dicono gli adulti non mi interessa più di tanto, per me sono importanti gli adolescenti che ho davanti. Comunque, non mi è mai capitato. Per esempio dopo l’incontro alla Feltrinelli di Catania mi è arrivato un bellissimo messaggio da parte della prof. che aveva accompagnato i ragazzi. Mi hanno chiesto di tornare a parlare nella loro scuola, questo genere di inviti li ricevo spesso e mi fa molto piacere. Se i ragazzi non sanno da cosa difendersi, non è colpa loro. Io quando parlo di certi argomenti non lo faccio in maniera cruda ma adeguata a chi ho davanti . A Catania c’erano degli adolescenti ed ho parlato in un modo, a Messina ho incontrato dei bambini ed ho parlato loro di certe tematiche raccontando delle storie».

L’emozione più forte di quest’ultimo viaggio?

«In Uganda, quando un bambino mi ha detto felicissimo di aver trovato dei genitori che lo avevano adottato».

Un altro strascico della tua operazione alla testa è in non riuscire a provare l’ansia, la paura. Non c’è proprio nulla che ti fa paura?

«Veramente no, però devo dire che una volta l’ho provata, in Colombia, quando sono stato testimone di un tentato omicidio.

Prossimo viaggio?

«Fino a qualche giorno fa pensavo Cuba, ma ora che è morto Fidel Castro non so, ci sto pensando. E poi il giro del Sudamerica su una sedia a rotelle».

Lì ti dovrai fare accompagnare da qualcuno…

«No, perché? Anche lì sarò da solo. Mi farò accompagnare dalle persone che incontrerò per strada».

Twitter: @carmengreco612

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