In Sicilia è l’ora di svegliarsi

Di Domenico Tempio / 25 Gennaio 2015

C’è da augurarsi che il bazooka armato da Mario Draghi colpisca anche l’Italia. Guardando dalla Sicilia, speriamo che arrivi sin quaggiù. Non sono pallottole, ma miliardi. Per favorire l’arrivo di qualche “proiettile” cosa occorre fare? Lo chiediamo a imprenditori, banche, amministratori, economisti, società pubbliche e private. Pensiamo che anche l’attività dei sindaci non si possa esaurire nel rituale compito di governo di una città, quando questa più che vivere, sopravvive. Stessa cosa dicasi per un presidente della Regione costretto a gestire un ente come il nostro, quello siciliano, dove i buchi di bilancio lo fanno somigliare a una gruviera. E dove i ladri e i farabutti si annidano in quei buchi. Sì, signor Presidente, signori sindaci, signori amministratori, è arrivato il momento di uscire fuori dalle scartoffie della burocrazia, che talvolta si usa come alibi, e fate valere la vostra forza politica che, badate bene, non deriva solamente dai numeri del partito al quale appartenete, ma dalla sicurezza di avere il consenso della gente. Non c’è colore politico che possa dividerla quando si combatte per sopravvivere.
E allora torniamo a chiederci: l’effetto Draghi può avere ricadute qui da noi? Siamo sicuri che con un po’ di buona volontà qualcosa si potrebbe ottenere. Nelle città siciliane la disoccupazione dilaga e con essa la disperazione. Molti criminali nascono da queste situazioni. Siamo la Terra di tutte le crisi, oltre a quella morale. L’industria, l’agricoltura, l’edilizia, il commercio sono gli esempi più lampanti. E’ un mordersi la coda. L’imprenditore non costruisce perché nessuno compra le sue case; l’operaio rimane a casa e si arrangia per recuperare un pezzo di pane; pochi vanno nei negozi e questi chiudono. Riteniamo che anche un sindaco di una città o di un paese, un presidente della Regione abbiano il dovere morale, al di là delle loro rigorose competenze, di chiamare a raccolta imprenditori, banche (le grandi nazionali sono le più insensibili alle esigenze del territorio), rappresentanti di categoria dagli industriali ai commercianti ai sindacati, anche enti culturali e associazioni no profit, e chiedere di farsi partecipi, ognuno nel proprio ruolo, di una operazione rilancio. Economico e sociale.
Facciamo l’esempio di Catania. Ha due o tre progetti finanziati da privati: la ricostruzione del vecchio San Berillo (sulla carta sarebbe Corso dei Martiri), rimasto come una ferita nel cuore della città; il rilancio di una zona, come la Plaja, che potrebbe essere rivitalizzata dal Pua, un progetto che tarda a decollare. Ai proprietari dei terreni del San Berillo espropriati circa ottant’anni fa a costi irrisori, per dare un volto nuovo a Catania, è arrivato il momento di dare una scossa. Una volta facilitati gli investimenti, gli imprenditori potrebbero cominciare a lavorare e far lavorare la gente. I mutui agevolati per chi compra, potrebbero favorire la ripresa del mercato. Siamo sicuri che il sindaco Bianco saprà fare la sua parte. Il Comune, del resto, ha completato il lungo e controverso iter tecnico–burocratico.
Ricordiamo, tra l’altro, che proprio il Comune molti anni fa è stato condannato a pagare una penale di miliardi di lire per aver ritardato progetti e autorizzazioni. Stessa cosa si faccia con i parcheggi in città. Sino adesso ne è stato realizzato solo uno. E gli altri? Se chi allora ha vinto il concorso non ha più voglia di realizzarli o ha trovato ostacoli di diversa natura, si bandisca un’altra gara, con regole precise e trasparenti. Non si può stare in eterno ad aspettare. Catania così continua a imbarbarirsi.
Ci sono in Sicilia pure le periferie da rimodulare (per Renzo Piano sono da “rattoppare”) sia al loro interno sia in un più ampio progetto legato alla vita della città. Coinvolgendo ovviamente i privati. Basta preparare un piano urbanistico che consenta la ristrutturazione di case, la sistemazione di strade, la creazione di servizi. Eliminare quartieri fatiscenti ristrutturandoli, avviare opere pubbliche rimaste solo sulla carta, promuovere iniziative private frenate da mancanza di soldi oppure da tangentisti in agguato. Ci sono molti giovani che vanno a lavorare all’estero, quando ciò che fanno in altri paesi, muratori camerieri meccanici, falegnami ecc. lo potrebbero fare a casa loro. A un giovane imprenditore che si complimentava con un universitario per la scelta coraggiosa di andare all’estero a fare il cameriere, quest’ultimo ha risposto: «Ma così, però, il giovane, fuggendo, scompare dalla sua terra». Sarà questo il futuro della Sicilia: sempre più vecchi, sempre più poveri, sempre più soli? Signori, svegliamoci!

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