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Il ritorno della Pfm, «Con tutto il meglio e poi assalto agli Usa»

Di Gianluca Santisi |

«Sarà un concerto di non meno di due ore e un quarto – anticipa il frontman Di Cioccio – articolato in un viaggio ideale attraverso tutta la nostra musica. Non a caso il tour si chiama All the Best. Ci saranno brani dei nostri inizi, del periodo inglese, qualcosa di Pfm in classic e una finestra sull’esperienza con De André. Vogliamo che il pubblico torni a casa “sazio” e felice per aver vissuto un momento entusiasmante».

Il vostro è ormai un pubblico transgenerazionale.

«È una cosa che ti conquisti col tempo ed è bello vedere padre e figlio che si gasano, saltano e ballano spalla a spalla. Perché di questo parliamo: la fine dei nostri concerti è sempre un’esplosione di gioia. Si può ballare, cantare e fare di tutto».

Ogni lavoro della Pfm è sempre stato diverso dal precedente. Una bella sfida.

«Questa è la chiave, la cifra del nostro modo di concepire la musica. Siamo sempre protesi verso qualcosa di nuovo. I tempi cambiano e noi cerchiamo costantemente di alzare l’asticella. La curiosità è la molla che fa scattare ogni cosa e ci fa essere contemporanei».

E il prossimo album come sarà?

«Diverso dagli altri sicuramente. Sarà un disco con molta musica e non solamente di un genere. Anche perché non abbiamo un genere. Sarà un album molto complesso con dentro tanti linguaggi ed estremamente aperto. Abbiamo un organico forte, con tre tastiere e due batterie. Una formazione che ci permette di suonare qualsiasi cosa. Questa è la Pfm oggi».

Si vocifera che il vostro nuovo disco sarà distribuito in quaranta Paesi…

«Non possiamo anticipare nulla ma riprenderemo un percorso che avevamo messo da parte. Per noi sarà un disco molto importante perché uscirà in tutto il mondo. Con una versione per l’estero, cantata in inglese, e una per il nostro mercato, in italiano».

Quanto sentite stretta la definizione di band progressive?

«Non è che la sentiamo stretta. Fa parte di una nostra stagione ed è bello che ci sia stata, non la dimenticheremo mai. Ma non dimenticheremo neanche la Pfm di Suonare suonare, quella di In Classic, di Live in Usa o di Photos of Ghosts. Sarebbe assurdo rimanere legati per 50 anni alla stessa cosa. L’anno scorso abbiamo avuto un successo fantastico in Europa e in America, dove non suonavamo da tanto tempo. Abbiamo ripreso i contatti internazionali ed è stata una grande soddisfazione vedere che la rivista inglese “Classic Rock”, nell’elenco dei 100 artisti più importanti della storia, ci abbia inserito al 50° posto, o che per Rolling Stones il nostro Photos of Ghosts sia al 19° posto tra i dischi prog più importanti. Ma quando facciamo un disco non pensiamo al genere, perché un genere ha un inizio e una fine. La musica no».

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