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Il medico a Esculapio «Combatto il Covid invano Mi hai deluso e ingannato»
Giulio Sampirisi, giovane medico sulla cresta dell’onda, viveva spaventato dalla folle corsa del “Covid 19”.
Il clima di psicosi derivava non dalla obiettiva gravità del fenomeno pandemico quanto da una dramma privato, a carattere persecutorio.
Riceveva infatti frequentemente telefonate anonime che incutevano terrore. Il telefonista si qualificava come “Esculapio”, non minacciava, non insultava, ma con tono pacato, con discorsi informati metteva in guardia il “giovane collega” di evitare di sdegnarsi per quel “ripetuto disturbo”, perché egli era un clinico in pensione, docente universitario, autore di tante pubblicazioni. Non faceva al telefono il nome vero perché aveva nell’ambito medico parenti e amici, e si confessava inoltrato in un “percorso di lucida follia”, imprecando contro Esculapio e quell’ “ipocrita di Ippocrate”, elogiava l’eroismo di medici e personale collegato, sparava sull’arroganza della burocrazia sanitaria, spesso popolata di “camici falliti o mai indossati”. Aveva scelto Giulio perché lo reputava “innocente destinato a futuro brillante”.
Sebbene il tono e le attenzioni personali, Giulio manifestava irritazione e inquietudine per quel martellamento telefonico, che, però, intimamente gradiva, perché lo intrigava per il tono scientificamente serio, e quel che più contava, per la cornice profetica che lo terrorizzava, ma lo obbligava a pensare.
Non volle mettere nessuno a conoscenza di quel vivere male una esperienza che minava persino la sua salute mentale.
Avvertiva un fuoco nella testa, diminuì il ritmo del lavoro, si intossicò di medicine varie, decise di sospendere la professione per motivi di salute, prese l’“anno sabatico”, cioè una interruzione lavorativa consentita.
Quando il telefonista “Esculapio” apprese dall’interessato la notizia, ne fu turbato e perciò comunicò l’interruzione di quello strano rapporto “profetico”, con una lettera-testamento, sentendosi prossimo alla fine, colpito senza rimedio dalle sue stesse teorie.
Giulio restò sveglio, insonne, agitato per diversi giorni in attesa del passaggio del postino.
E, finalmente una lettera spedita da Treviso; incespicando sugli scalini di casa, raggiunse il suo studio, staccò i telefoni, e tremante, pallido, sudato cominciò a leggere.
«Caro collega, invado la tua casa, ma non potevo rinviare. Quando mi leggerai, sarò altrove. Non è questo che importa.
E, importante, invece, che tu mediti sul seguente contenuto.
Siamo davvero sicuri che la peggior condanna del Covid 19 sia la morte?
E se così non fosse?
Se il virus si facesse beffa di noi facendoci sopravvivere, illudendoci di esserci salvati per poi presentarci il conto, salatissimo, a distanza di tempo?
Tutti sappiamo che i primi segni di contagio da Sars-CoV 2 sono la comparsa di anosmia e ageusia, sintomi dapprima imputati alla “Sindrome Influenzale”.
E’ stato invece appurato che tali sintomi sono ascrivibili alla neurotossicità (lasciami passare il termine) del Covid 19 sul Snc e particolarmente sul Bulbo olfattorio. Riscontrò, dopo varie interviste con malati, un risultato costante: l’unico sapore che lasciavano i cibi ingoiati era quello della carta vetrata.
Immaginiamo la ricaduta che ciò avrebbe sui familiari dei malati in termini economici, familiare, di impegno del care-giver; le ricadute sull’economia sanitaria mondiale e sulla produttività in genere colpendo pazienti giovani ed impegnati in campo lavorativo che a causa delle elevate disabilità motorie e cognitive, non apporterebbero più il loro contributo ma diventerebbero consumatori di risorse.
Diversi scienziati nel mondo, si stanno occupando di studiare le correlazioni tra l’attuale pandemia e la possibilità di sviluppo di malattie neurodegenerative relate, tra questi il prof. Kevin Barnham del Florey Institute of Neuroscience and Mental Health (Australia) ha sottolineato che il virus può causare danni alle cellule cerebrali innescando un potenziale processo neurodegenerativo.
Nel Morbo di Parkinson la perdita dell’olfatto si presenta come primo sintomo nel 90% dei pazienti e ben 10 anni prima della comparsa di segni motori. Sulla scorta di questo dato si rende necessario monitorare i pazienti giovani sopravvissuti al Sars-Cov 2, che abbiano presentato chiari segni di neuro infiammazione.
La storia ci ricorda che già durante l’epidemia di “Spagnola” il rischio di sviluppare morbo di Parkinson nella popolazione generale aumentò da due a tre volte.
Con le conoscenze attuali e le possibilità diagnostiche a nostra disposizione (SPECT, RMN funzionale per citarne alcuni), il buon senso impone che i soggetti considerati a rischio e che abbiano presentato segni sporadici di défaillance motorie e cognitive debbano essere monitorati al fine di identificare i primi segni di malattia prima che le terapie farmacologiche a nostra disposizione non possano più rallentare il processo neurodegenerativo.
In tal senso l’Economia sanitaria dovrebbe rifarsi al vecchio adagio “meglio prevenire che curare” perché i tagli alla spesa sanitaria per le indagini neuroradiologiche di terzo livello non compenseranno mai il costo di elevati gradi di disabilità motoria e cognitiva.
Non sarà la fine del mondo.
Quando il fiume invade la terra circostante, una sconosciuta debolezza del suolo potrà creare l’inabissamento delle acque, che, disperdendosi in un percorso carsico, allontanano il pericolo.
La scienza spesso trova la muraglia di “perché” imprevisti. E riesce, però a perforare la roccia.
Non disperate. Ti auguro quello che desideri, Esculapio».
Inutile dire dello sconquasso psichico che travolse Giulio Sampirisi. Che programmò un viaggio in Grecia, avendo in via di perfezionamento una conclusione a quella insopportabilità del continuare a vivere.
Raggiunta Atene, si fermò due giorni. Scrisse una lettera al presidente dell’Ordine dei medici della sua città e la consegnò al portiere per inoltrarla.
Uscì, raggiunse il Santuario di Asclepio, sulle pendici dell’Acropoli dietro il Teatro di Dionisio, si sedette su una pietra e meditò a lungo.
Nella lettera di congedo, scriveva: «Grande Esculapio, sono un medico deluso, da Te ingannato. Ci hai fatto credere di essere al servizio dell’impossibile, capaci di miracoli. E non ci hai concesso il potere speciale di esiti speciali, davanti a casi speciali. Certo, non possiamo evitare la morte, ma siamo umiliati dalla frustrazione, quando assistiamo al capezzale come parenti impotenti. Non avendo le risposte per le domande importanti, non intendo più ingannare nessuno e quindi ho deciso di darmi fuoco, col proposito di estendere le fiamme al Tuo Tempio. Senza nostalgia, Giulio Sampirisi».
Si alzò dalla pietra, gli girava la testa; tremava. Aprì lo zainetto, tirò fuori una tanica di cinque litri, accostò cartacce che accompagnavano il contenitore della benzina, azionò l’accendino e la vampata diventò alta e compatta.
In breve fu incontrollabile; infine, macerie e ceneri.
Il fuoco divorò tutto, o quasi.
Restò, infatti, la copertina del diario solamente annerita.
Si leggeva: «Tra essere e non essere c’è vivere. Lo vuole il Dio Salvatore, lo ricordino i medici, lo sperino i malati. Perché mai si invoca il pane quotidiano, se non per aiutare a vivere?»