C’è lo psicologo, l’impiegato in pensione, il professore universitario, l’avvocato e l’ingegnere nucleare. Vengono dagli Stati Uniti. In genere sono over 60 e spesso viaggiano in coppia. Hanno denaro da spendere e di Palermo e della Sicilia vogliono conoscere tutto: luci e ombre.
Una curiosità che non si ferma davanti alla contemplazione della cattedrale e delle sue guglie normanne, ai mercati storici o alla puntata in pasticceria per i cannoli. Ma va oltre, puntando al cuore di fenomeni, come quello mafioso, che spesso conoscono solo attraverso i film. Sono amanti del “turismo controverso”, così si chiama, e per loro un tour operator di Boston ha pensato a un pacchetto originale: “vitto, alloggio, visite guidate e … incontro col figlio del boss”. Così, da settembre, da ogni parte degli Usa, a gruppetti di 15 arrivano alla spicciolata a Palermo, una delle tante tappe del loro viaggio nell’Isola, e si trovano faccia a faccia con Angelo Provenzano, 39 anni, figlio maggiore di Bernardo, storico capomafia di Corleone da anni al carcere duro. Quasi intimiditi, si siedono in cerchio.
Viene consegnato loro una sorta di opuscolo con le tappe salienti della storia di Cosa nostra. Segue una breve introduzione, un sunto delle cronache più o meno recenti, fatto da uno degli organizzatori. I turisti ascoltano in religioso silenzio. E attendono che arrivi Provenzano. Il figlio del boss parla un’oretta. Per lo più in inglese, raramente tradotto. E racconta la sua vita, gli anni di latitanza col padre, il rientro a Corleone, adolescente, il rapporto con una figura che gli ha condizionato passato e presente e che grava come un macigno anche sul suo futuro.
Al termine dell’intervento gli americani non smettono di fare domande. Che infanzia ha avuto, che padre è stato il suo, come si conciliava la religiosità professata con la vita criminale, cosa si attende dal domani. Angelo Provenzano risponde a tutti. E nelle sue risposte non c’è l’ombra della ritrosia e della cautela che si sentono, forti, nelle rarissime interviste rilasciate ai media.
Il perché lo spiega lui stesso all’ANSA. “Confrontarmi con una cultura diversa dalla nostra e scevra da pregiudizi mi pare un’avventura molto stimolante”. E il punto è proprio quello, i pregiudizi. Perché l’approccio del turista del Wyoming, dell’Alabama o del Texas, per cui il capomafia ha solo il volto caricaturale del don Vito Corleone impersonato da Marlon Brando, non può essere quello di chi ha vissuto le stragi, ha visto i morti per strada e ha subito la prepotenza mafiosa. È per questo che, quasi si trattasse di una seduta psicanalitica, spesso un turista si alza in piedi e dice al figlio del boss che no, non è giusto che le colpe dei padri ricadano sui figli. E gli propone una soluzione semplice e molto americana: cambiare identità e sparire, lasciandosi tutto alle spalle. Per Provenzano, però, evidentemente le cose non sono così semplici. “Per me – spiega – si tratta di una opportunità lavorativa importante in un settore, quello turistico, nelle cui potenzialità ho sempre creduto. Vorrei una vita più normale possibile – dice – Ma mi rendo conto che non c’è speranza”.
“Questa notizia ha dell’incredibile. È solo apparentemente innocua. – commenta il senatore del Pd Beppe Lumia – Oltre a raccontarsi ai turisti il figlio di Provenzano potrebbe trovare un pò di tempo per dire ai magistrati dove si trovano le ricchezze accumulate dal padre”.