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Il futuro del cibo: di qualità, a impatto zero ed ecofriendly

Di Carmen Greco |

CATANIA. “Eat well doing good”, mangiare bene facendo del bene. Se il primo “invito” in Sicilia è fin troppo facile, lo è un po’ meno il secondo laddove “il bene” è quello delle imprese, e, a cascata del territorio e di chi ci vive. Mettere insieme le due cose è ancora più complesso, ma è l’ambizioso l’obiettivo di una società benefit fondata da tre imprenditori siciliani under 30: Corrado Paternò Castello, Alessandra Tranchina e Sergio Sallicano che sei mesi fa hanno dato vita a una start up chiamata “Boniviri” (persone di valore) che ha il suo core business nell’impresa sociale, vale a dire un’azienda che produce e crea valore, condiviso da tutti gli attori della filiera.

Il team di Boniviri: Corrado Paternò Castello, Sergio Sallicano, Alessandra Tranchina

Sono loro la next generation “cerniera” fra aziende e compratori, per la commercializzazione on line prodotti non solo qualitativamente eccellenti, ma eccellenti anche dal punto di vista ambientale e del packaging (ottenuto dagli scarti delle olive). Corrado Paternò Castello, coordinatore delle attività e responsabile della strategia sociale e ambientale, ha in tasca una laurea in giurisprudenza presa a Milano ma sapeva già che non avrebbe indossato la toga, “folgorato” dall’interesse verso l’imprenditoria sociale che l’ha portato in Francia, Germania e Tunisia; Alessandra, responsabile del marketing e della comunicazione, ha lavorato nell’editoria, nella progettazione grafica e su progetti di partecipazione urbana, è la “creativa” del trio e a lei si deve lo studio del packaging ecosostenibile; Sergio, responsabile dei rapporti con le aziende agricole, cura invece la produzione dell’azienda di famiglia specializzata nella coltivazione di olive, mandorle e agrumi, è l’unico “contadino” del trio che ha il polso della situazione sulle produzioni agricole.

«Cerchiamo prodotti di altissima qualità – spiega Corrado Paternò Castello – che valorizzino la filiera agricola locale, sempre più colpita dall’incremento dei costi di produzione, dai rischi legati ai cambiamenti climatici e dalla difficoltà di vendere i propri prodotti a un prezzo equo a causa della competizione internazionale e dei prodotti esteri». Per il momento, Boniviri è partita con l’olio, il primo extravergine italiano a “impatto positivo”, ci sono anche le mandorle pizzute di Avola, lo zafferano, aromi, miele, tutti prodotti siciliani a lunga conservazione “scovati” e rispondenti alle caratteristiche di alta qualità, basse emissioni di C02, alta sostenibilità.

Packaging, etichette e brochure sono realizzate con gli scarti della lavorazione delle olive

Al progetto hanno già aderito sette diverse aziende agricole siciliane, a Noto, Randazzo, Santa Margherita di Belice, Trecastagni, Chiaramonte Gulfi, Cesarò. Per soddisfare le nuove abitudini dei consumatori e allargare il raggio dei clienti anche in chiave internazionale, i tre fondatori hanno puntato sul digitale aprendo un canale e-commerce in italiano e in inglese – dove si possono comprare i prodotti – e affidando ai social la narrazione del percorso di filiera: la materia prima, i metodi di lavorazione, le persone, le pratiche per la sostenibilità, in una parola le esperienze maturate da queste aziende “pioniere” delle produzioni ad impatto positivo.

L’idea, per certi versi, è “figlia” del lockdown di primavera. È stato in quel periodo che Corrado e Sergio hanno messo il progetto nero su bianco per poi coinvolgere Alessandra . «In estate abbiamo macinato almeno tremila km per cercare aziende siciliane che rispondessero ai nostri protocolli per arrivare a produrre bottiglie di extravergine carbon neutral Infatti noi calcoliamo e compensiamo le emissioni di gas serra causate dalle nostre bottiglie».

Il messaggio dell’impresa sociale e della sostenibilità produttiva in Italia è in ritardo rispetto ad altri Paesi europei. «Quello che oggi si fa in Italia in Francia lo fanno già da 15 anni – conferma Corrado Paternò Castello -. In Sicilia, il livello di consapevolezza rispetto a questi temi è “medio”, eppure paradossalmente potremmo essere avanti se si considera che l’agricoltura sostenibile sarebbe avvantaggiata dal fatto che non c’è stata un’industrializzazione selvaggia, la Sicilia è come rimasta in una “bolla” in cui ci sono imprese agricole che lavorano bene. Là dove in altre regioni si deve tornare indietro, la Sicilia potrebbe ritrovarsi in pole position sulla via di una produzione agricola sostenibile».

A leggere l’Impact map alla base del progetto, si capisce quanto la filiera “buona pulita e giusta”, per mutuare il celebre slogan di Slow Food, sia concatenata. Si va dall’acquisto dei prodotti (da parte di Boniviri) a prezzo equo, fino ad arrivare al meccanismo di partecipazione digitale per i coltivatori e per i consumatori che dicono la loro sulle scelte relative alla sostenibilità proposte dai tre giovani imprenditori.

In mezzo, c’è la costruzione di un’agricoltura consapevole, di un sistema di produzione che non guarda solo al business ma anche alla crescita di quello che c’è tutt’intorno e che punta lo sguardo sul futuro dell’economia circolare. «Imprese agricole che magari avrebbero difficoltà ad inserirsi sul mercato – osserva Paternò Castello – si rafforzano economicamente e, con loro, il tessuto sociale in cui operano. Se producono in assenza di gas serra ne beneficia tutto l’ambiente e, dove non è possibile, l’impatto viene compensato con progetti di riforestazione. Se le nostre etichette, le scatole, le brochure sono fatte con gli scarti delle olive, il mondo di chi coltiva a quello di chi consuma si avvicinano toccando concretamente con mano cosa significhi ecosostenibilità e riduzione degli sprechi».

Il primo passo è calcolare la “carbon foot print”, vale a dire il peso “inquinante” di una determinata produzione. Si parte dal comprendere quanto costi – in termini di emissioni di C02 – una determinata attività produttiva, per esempio l’olio (macchinari per la cura dei campi, automezzi per il trasporto delle olive, approvvigionamento e consegna delle merci, spostamenti in auto e/o aereo di tutte le persone coinvolte nella vita d’impresa, e così via). In cambio, viene garantita, per statuto, la riforestazione di porzioni di territorio.

«Per noi il ritorno sociale è importantissimo – sottolinea Paternò Castello – e l’altro grande valore che diamo al nostro progetto è quello di azzerare le emissioni di gas serra. Abbiamo calcolato che l’impatto ambientale per la produzione di ogni bottiglia d’olio da noi realizzata, è pari a circa due kg di CO2, dal campo alla tavola. Il nostro obiettivo è non solo arginare questo impatto ambientale, ma creare un valore da questo business. Una start up americana recupera le reti da pesca abbandonate in mare per farci gli skateboard, questo è un bellissimo esempio di impresa sociale e noi  crediamo fermamente in questo meccanismo virtuoso».

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