Il cardinale Dusmet, il beato del «panettello» amato da Catania

Di Maria Cecilia La Mela* / 30 Maggio 2018

La ricorrenza del 2° centenario della nascita del beato cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet (Palermo 15 agosto 1818), ci sollecita a riconsiderarne la figura e soprattutto il messaggio, ringraziando il Signore per avercelo donato quale fulgido esempio di vita cristiana e potente intercessore. Già monaco benedettino dell’abbazia di San Martino delle Scale (Palermo) e poi abate di San Nicola l’Arena in Catania, per 27 anni, fino alla morte avvenuta il 4 aprile 1894, ha guidato la nostra Chiesa di Catania con zelo pastorale davvero eccezionale.

La recente esortazione apostolica di papa Francesco, Gaudete et exultate, inizia proprio con l’invito a rispondere alla chiamata alla santità «perché il Signore ha scelto ciascuno di noi “per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità” (Ef 1,4)». E la carità è l’aspetto evangelico vissuto dal Dusmet con più forza non senza gli altri, pure belli e intensi e che, in un certo senso, riassume e racchiude: una carità che si traduceva in una generosità commovente per quanti ricorrevano a lui. Nel suo cuore di padre e di pastore c’era spazio per tutti: accoglieva, ascoltava, incoraggiava… a tutti rendeva visibile e credibile l’amore di Dio. Durante la diffusione di epidemie, i disastri del terremoto, le eruzioni dell’Etna, la sua figura slanciata rivestita del povero abito benedettino si aggirava tra le macerie delle case e il pianto della gente. Per tutti aveva qualcosa da dare e una parola di speranza da dire. Invitava sempre il suo buon popolo ad affidarsi «pure tutto intero al nostro amore di padre», una instancabile dedizione che lo portava sin nelle periferie urbane, ma ancor prima esistenziali, della città e della diocesi.

Si tratta di quella “sfida della beatitudine dei poveri” lanciata da papa Francesco e che il Dusmet ha vissuto intensamente con i mezzi e le modalità del suo tempo. Ci piace riferirci anche al magistero di Benedetto XVI che, al n. 31 nell’enciclica Deus caritas est scriveva: «Il programma del cristiano, il programma di Gesù è “un cuore che vede”. Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente». È dunque alla sequela di Gesù – Dio fatto uomo – che si impara ad amare.
San Benedetto, nella Regola, riserva un posto centrale alla carità, sempre in riferimento cristologico. In ogni fratello, ma soprattutto nel povero, nell’ammalato e nell’ospite c’è Cristo stesso amato, accolto, curato, ospitato in chi ci sta accanto.

Nella prima Lettera pastorale all’arcidiocesi di Catania (Roma, 14 marzo1867) il Dusmet scriveva: «La nostra porta per ogni misero che soffra sarà sempre aperta. L’orario che ordineremo affiggersi all’ingresso dell’episcopio sarà che gli indigenti a preferenza entrino in tutte le ore. Un soccorso, ed ove i mezzi ci manchino, un conforto, una parola di affetto l’avranno tutti e sempre».

Tutti ammiravano la sua religiosità fervente e raccolta, mai affettata o individualista, coltivata in vista soprattutto del bene delle anime. Anche noti anticlericali, colpiti dalla sua semplicità e coerenza, si trovarono più volte concordi nel definirlo un santo. Cosa affascinava tutti quelli che lo incontravano, uomini, donne, giovani, individui di estrazione sociale e culture diverse, operai e professionisti, gente della pescheria e blasonati? Erano la bontà del cuore, la schiettezza del carattere, il portamento dimesso ma dignitoso, la profonda e autentica spiritualità. Il nostro Beato, modellato dalla Parola di Dio e nutrito dall’Eucaristia, vivendo in pienezza il monito iniziale della Regola «Ascolta» era diventato l’uomo del dialogo mentre la sua porta, sempre aperta, il segno della comunione e della condivisione.

Alla luce di tutto questo diventa quanto mai significativa la scelta di aver apposto, insieme a tutta l’inerente simbologia iconografica, la famosa “sentenza” del Dusmet «sin quando avremo un panettello, noi lo divideremo con il povero» nel monumento eretto in sua memoria nel 1935 in piazza San Francesco all’Immacolata.

Ecco che, in questo anno giubilare è più che mai necessario ravvivare la memoria del Dusmet da far conoscere soprattutto alle nuove generazioni. Affascinati dalla luminosa testimonianza dell’ “Angelo della carità”, siamo invitati ad accogliere l’invito a quella carità che, nel momento in cui ci sprona ad uscire dai nostri egoismi, ci apre al dono di noi stessi, di ciò che siamo prima ancora di ciò che abbiamo; un’apertura e un dono ricolmati dalla lieta notizia che Dio è Padre e che, in Gesù Cristo, ci ha amati sino all’estremo, per darci la vita in abbondanza e, con essa, una gioia piena che nessuno potrà mai toglierci.


* Monastero Benedettine del SS. Sacramento di Catania

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Redazione
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