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“I nostri muri”, Grasso: «Ottusità e servilismo, ostacoli insormontabili»
Persino il fatale monstrum Cleopatra è stato abbattuto, è crollato il muro di terrore, lo ha fatto Ottaviano, incalzandola con le sue navi da presso come «avvoltoio sulle tenere colombe o veloce cacciatore sulla lepre nei campi nevosi d’Emonia» (Orazio, Odi I, 37). Lo ha fatto crollare la morte, si è suicidata la regina folle che maneggiava veleno di serpenti e preparava rovina allo stato romano. Cade (30 a. C) per suggestivo suicidio la regina che volle nobilmente morire, senza temere e senza timore, pur essendo una donna, anzi ancor più fiera proprio per avere deciso la sua morte (deliberata morte ferocior).
La Cultura ne gioisce, la Poesia ne gioisce e celebra l’evento come Avvento. Avvento di pax libertas di cui l’uomo e la storia hanno bisogno per sfrattare la guerra, il sangue, la prigionia, per seminare il presente e il futuro, vederli sbocciare tra uomini liberi e per uomini liberi.
Questo ci insegna la Storia, non c’è “muro” che non sia crollato, per guerra o accordo, non c’è popolo che non sia stato riscattato da prigionia e da olocausto. Ma quando il “muro” sia invisibile, quando il “muro” sia stato inavvertito o sottovalutato, non bastano le più sofisticate strategie politiche belliche o tecnologie. Nulla basta, ogni tentativo abortisce sotto l’insipienza dell’uomo. Ottusità pregiudizio cementificazione e svilimento delle coscienze sono “muri” insormontabili. Sbaglia chi pensa che a soffrirne sia la Cultura, l’errore è madornale, costituzionale e costitutivo. L’errore è nel considerare Cultura un piccolo stagno in cui impaludisce chi firma libri anche pessimi, anzi soprattutto pessimi, chi firma articoli sbandierando un’indipendenza di giudizio fasulla, già sottomessa al soldo o alla carriera in un cursus honorum in cui sia stato fregato uno più serio e bravo, un indipendente vero che l’esercito dei “muratori” asfalta senza neanche dolo, solo perché non l’indipendente ha storia e non fa la storia, è solo un poveraccio, solo polvere sotto lo stivale della prepotenza e del prepotente. Si archivino i concetti astratti, si seppellisca l’Astratto che fu per menti nobili ed ere magnanime, si passi all’asciuttezza del singolare e del plurale, il prepotente, i prepotenti, i tangentisti, il disonesto, i disonesti, il traditore, i traditori. Questi sono, o sarebbero, tempi di denuncia e testimonianza, non d’astrattismi.
La lebbra della nostra società è considerare che non fa la storia chi non ha una storia, una storia di servilismo opportunismo spregiudicatezza intrallazzo.
La mia generazione ha fallito, io ho fallito: me pudet, posso solo dire e lo dico e ne faccio da anni diagnosi, ne faccio autopsia, ne cerco le cause apparenti o invisibili, ma cerco anche le ragioni del fallimento, cerco capi d’imputazioni, d’improbabile assoluzione, non ne trovo non assolvo. Io e la mia generazione li abbiamo scovati i “muri” invisibili che, per inadeguatezza imperizia incapacità, non sono caduti, sono ancora là in crescita, ottusi ciclopici affamati divoratori. Me pudet.
Silvana Grasso, scrittrice di romanzi e pièce teatrali premiati con importanti riconoscimenti. È fima de “La Sicilia”, collabora con altre testate nazionaliCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA