Gli argonauti della libertà
Gli argonauti della libertà
Qui giace uno che mai si compiacque di frodi e dopo molte nobili azioni lasciò i figli in miseria, nella speranza che un giorno essi siano liberi». Questa iscrizione funeraria romana, reperita a El Kef, in Tunisia, non fa cenno al nome del defunto. Volutamente non fa cenno, non è un accidenti dovuto magari a scheggiatura della pietra o comunque d’altro materiale, su cui era inciso l’epitaffio. E’ proprio frutto di premeditazione, di un disegno preciso da parte di chi (il defunto medesimo, in vita, o un parente) diede il testo all’inscriptor, l’artigiano esecutore. Così, in modo non consueto, il morto di questa stele, oggetto di compianto, resta anonimo, scippato del suo stesso nome. A vantaggio di cosa, privarsi del proprio nome? A vantaggio di chi, una simile rinuncia? Infatti, anche nel caso in cui il morto fosse uno schiavo, l’epitaffio ne indicava il nome sempre, pur senza patronimico e, nel caso di un defunto liberto, al nome seguiva la lettera L, con l’iniziale del padrone che gli avesse dato la libertà. Aspirazione massima d’ogni schiavo, d’ogni sottomesso all’altrui voluntas, all’altrui imperio, all’altrui arbitrio. Crediamo, anzi ne siamo convinti, che nel piccolo epigramma il pronome indefinito «uno», proprio per la sua anemotività, avesse una funzione precisa, far da volano, a quella «Libertà», cui i figli avrebbero dovuto accedere, nel desiderio del padre morto. Desiderio forte insopprimibile, più della vita stessa, quello che i figli, poveri di beni materiali, privi di sostanze, fossero ricchi del più grande sostentamento: la Libertà. Bernard, Charb, Georges, Cabu, Tignous, Bernard. Su questo epitaffio, scritto il 7 di gennaio, ci sono tutti i nomi. Per qualche giorno ci saranno ancora, nelle matite e nei cuori di amici vignettisti, ci saranno ancora nello smarrimento di quanti, nel mondo, fino a ieri, non avevano mai conosciuto nemmeno il nome del «Charlie Hebdo», nemmeno una delle sue appassionate avventure nelle mangrovie della Satira, appassionata e di razza. Oggi è un gran parlare di «Libertà», sconosciuta creatura ai Continenti dei nostri giorni che si spera, o forse non si spera affatto, di ritrovare, camminando dietro sentieri di sangue come questi, destinati a vita effimera, quasi briciole della favola di Pollicino. Ma non è favola, questa. Oggi è fanfara sui foreign fighters, oggi è iperbole, oggi è proclama, oggi è abiura. Oggi è. Attimo oggi è, che incenerisce già al rogo del crepuscolo, e a sera si farà fatica a ricordarne i nomi, di questi «argonauti» della Libertà, che non fecero in tempo a trovarla. Che forse non fecero in tempo nemmeno a sognare che figli la trovassero, la Libertà, che fa ricchi e potenti. Si usava, nella Roma imperiale, mettere in bocca al defunto il naulum, una moneta per pagargli il viaggio nell’Ade, nel sottoterra dei morti. Nuovi Dei da onorare, da ingraziare. I «ragazzi» del Charlie hanno già pagato con la vita il naulum verso la Libertà. Ora non c’è più posto di dogana che possa fermarli. Ora, ovunque siano, in un mondo di sotto o di sopra, o in una terra di mezzo, viaggeranno per sempre gratis.