Generazione costretta a emigrare

Di Domenico Tempio / 03 Agosto 2014

Cosa offre la Sicilia alla nostra “meglio gioventù”? Questa riflessione nasce vedendo le foto dei “centisti” degli esami di maturità pubblicate dal nostro giornale: belle facce, in maggioranza ragazze che valgono più di qualsiasi lotta al femminile, grandi propositi da non sembrare utopistici.
Semmai di utopistico c’è quello che questa terra a loro non può offrire. Basta guardare il quadro desolante del Sud disegnato dallo Svimez: una terra a rischio desertificazione industriale e umana. Il perché è facile dedurlo: la gente continua a emigrare, le nascite e il lavoro sono al minimo storico. In cinque anni le famiglie povere sono aumentate due volte e mezzo. Toccano il milione. Da noi è difficile, come è accaduto per la “Brebemi”, l’autostrada Brescia-Milano, trovare un privato, sia esso banca o industria, pronto a investire. Lo stesso “sblocca Italia”, nonostante gli ultimi annunci, per noi che di delusioni ne abbiamo avute tante, sembra più uno slogan che un progetto vero. Detto questo, ci chiediamo: cosa offriamo a questi giovani bravi, animati di grande volontà? Regaliamo un biglietto di solo andata per l’estero?
Oggi a chi accusa giustamente di razzismo un certo Tavecchio, del quale prima molti non conoscevano l’esistenza, per una dichiarazione sui calciatori neri che mangiano banane, ricordiamo che allora nessuno si scandalizzò quando davanti agli appartamenti torinesi veniva posto il cartello «non si affitta ai meridionali». O del “forza Etna” leghista. O, ancora, del “dagli al mafioso! ” lanciato contro i nostri ragazzi che frequentavano le scuole del Nord. I destinatari erano e, forse lo sono ancora, siciliani, napoletani, calabresi che non avevano neanche banane da mangiare. Certo i rigurgiti razzisti non sono più quelli di un tempo, esiste però ancora una marcata distanza tra le due Italie. Se, ad esempio, le infrastrutture al Nord sono giuste e, quindi, indispensabili, quelle al Sud non sono prioritarie. Se la Fiat scappa e l’Eni pensa di farlo, è perché gli stabilimenti non rendono più. Guarda caso, proprio cominciando dalla Sicilia. E poi i soldi, l’altra accusa: c’è il rischio che se li pappi la mafia. Quando al Nord ci sono i Greganti, i Galan, e, persino, i Bossi, a metterseli in tasca. Se non qualche imprenditore dal nome altisonante.
Parlare oggi dei partiti è come parlare del nulla.
Sembrano delle metastasi sparse nel corpo del Paese. Non c’è schieramento di destra o di sinistra che non viva la sua decadenza. Più che il partito avverso si combatte chi siede, con la stessa tessera, nel banco accanto. Svanite le ideologie sono rimasti solo i movimenti ad personam. Persino l’ex Pci ha perso quel senso comune della battaglia politica. Il Pd vive perché è arrivato un giovane, chiacchierone secondo tradizione toscana, con qualche promessa eccessiva, ma con una carica inusuale per quel cimitero nel quale la sinistra ha seppellito la politica. Il loro ultimo de profundis è stato per l’“Unità”, il giornale una volta orgoglio dei comunisti veraci.
Forza Italia, generata da Berlusconi vent’anni fa, dopo vari passaggi e infelici accoppiate, è rimasta pur se ridimensionata, in mano al suo proprietario. Un partito a tempo, cioè vivrà e morirà con l’ex Cavaliere. Lo stesso dicasi degli ex amici, da Casini ad Alfano. Arrancano nella speranza di una presunta eredità berlusconiana. Beppe Grillo è l’espressione dell’anti partito. Il web è una finzione. Vi accedono alcune migliaia di grillini, ma a decidere è solo il guru o il suo suggeritore. Gli altri schieramenti, come Sel, i centristi ex Monti dei quali non ricordiamo più nemmeno le sigle, o la destra di Meloni-La Russa, sono solo il contorno di quello che doveva essere, ma non lo è, il piatto forte della politica. La Lega sembra ancora un corpo estraneo a tutto il Paese. La riforma delle istituzioni è in pieno caos. Eppure aiuterebbe i partiti a rigenerarsi.
Veniamo alla Sicilia. Una volta l’Isola veniva considerata il laboratorio della politica nazionale. La terra di Sturzo ha avuto le sue primogeniture. Ora è ridotta a semplice discarica, scusate il termine, dei rifiuti prodotti dai partiti. Il fallimento della Regione è il risultato del vuoto dei partiti e degli uomini che li hanno incarnati. La burocrazia è corrotta al pari dei politici. Un fallimento che ha coinvolto tutti i siciliani. E, purtroppo, potrebbe anche travolgere quei bravi giovani di cui parlavamo all’inizio. I quali se fossero costretti a staccare il biglietto per rifugiarsi all’estero, accrescerebbero la desertificazione umana, dopo quella economica, rilevata dallo Svimez. Sarebbe un’ennesima sconfitta.

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Redazione
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