Catania – Altro che «sistema» Etna. Sul vulcano attivo più alto d’Europa regna la confusione, specie per quel che riguarda quella parolina magica evocata ormai sempre più spesso quando si parla di turismo: brand.
Quello dell’Etna, al momento, è soltanto una suggestione, molto distante da una realtà che sul marketing territoriale è invece spesso in ritardo e fatta di tanta improvvisazione, soprattutto di mano pubblica. Ecco le impietose conclusioni venute fuori dalla giornata di studi promossa ed ospitata ieri dalla Camera di Commercio di Catania, dedicata appunto al “Brand Etna per la promozione del territorio”. Non solo. Anche dai numeri dell’economia «reale» arrivano poche note liete, se si guarda all’effettivo impatto dell’economia del turismo nell’area etnea: tutti gli indicatori d’impatto restano su «livelli modesti», e c’è ancora molta strada da percorrere affinché che il settore arrivi anche solo a scalfire la leadership di agricoltura e commercio quali ambiti economici trainanti alla falde del vulcano.
Teresa Graziano, geografa nelle Università di Catania e Sassari, nell’analisi è partita dalla rivoluzione digitale che «Ha cambiato nel profondo il modo di fare di turismo», diventato anzitutto un’esperienza da condividere. Il visitatore contemporaneo è smart, si muove più consapevolmente grazie proprio al costante supporto delle nuove tecnologie della comunicazione web e dei social network. In questo quadro, l’Etna si è riscoperta star indiscussa della Rete, centro di interesse con attrattività intrinseca e visualizzazioni record su ogni canale, la cui bellezza viene ogni giorno rilanciata da migliaia di post e foto degli utenti. Ma di tanta straordinaria pubblicità naturalmente veicolata sul web, le istituzioni a tutti livelli non sanno avvantaggiarsi. «Il vulcano ha un brand frammentato – ha spiegato la studiosa – non esiste un portale Etna patrimonio Unesco mentre i venti Comuni del Parco dell’Etna, ente anch’esso con un suo brand a parte, affidano la loro promozione turistica a pagine in stile web 1.0 su siti istituzionali». Il paragone con l’innovativa presenza online delle Dolomiti è disarmante: «Non si può più improvvisare – ha aggiunto Graziano – ci vuole una strategia unitaria di costruzione del brand Etna che racconti il territorio, punti alle emozioni del pubblico, non semplicemente a vendere un prodotto».
A spegnere ancor di più gli entusiasmi ci ha poi pensato Rosario Faraci, ordinario di Economia e gestione delle Imprese nell’ateneo catanese. L’Etna è infatti «una risorsa con tanto di riconoscimento Unesco ed anche un’attrazione da migliaia di followers, ma non è ancora una destinazione turistica». Ancora una volta, per la svolta tanto attesa nello sviluppo in chiave turistica, non basta la recente esplosione dell’interesse del pianeta internet verso il Mongibello. Questo a motivo della frammentazione nell’uso del suo nome – «un significante per molti significati» – e perché poi il turismo è fatto anche e soprattutto di fruizione e servizi che funzionino. È appunto l’economia reale che parla, con il valore di chi dovrebbe erogare tali indispensabili ingredienti, le 930 imprese turistiche dei venti Comuni del Parco dell’Etna, fermo al 5,4% del totale delle imprese dell’area.
«Sulle Dolomiti l’impatto delle imprese turistiche è dieci volte maggiore sull’indotto rispetto all’Etna – aggiunge Faraci – visto il raffronto ad esempio con agricoltura e artigianato, c’è insomma sul vulcano una vocazione economica più ampia di quella esclusivamente turistica, e di questo bisogna tenere conto se si vuole costruire una vera politica di branding territoriale per l’Etna».
Poi una sortita di Faraci fuori dai rigorosi binari dell’indagine economica – «La montagna non è una risorsa da strizzare, per fare turismo di qualità c’è bisogno soprattutto di amore» – per poi ricordare alla platea che, prima ancora che grazie all’intervento pubblico, «l’imprenditoria anche nel turismo nasce per rispondere a dei bisogni».
Alle requisitorie di studiosi e tecnici, hanno fatto da contraltare gli interventi della politica, adagiata sul refrain, buono per tutte le stagioni, della necessità di «fare sistema».
L’assessore regionale dell’Agricoltura, Antonello Cracolici, ha rilanciato la chiave di volta dei «grandi eventi attorno cui lavorare in squadra», anche in vista del G7 taorminese, mentre per il Sottosegretario del Ministero delle politiche agricole, Giuseppe Castiglione, proprio alla Camera di Commercio andrebbe affidato il ruolo di «cabina di regia» della valorizzazione delle eccellenze territoriali, soprattutto per coordinare le fin troppe istituzioni, locali e non, coinvolte nella materia. Infine Anthony Barbagallo, assessore regionale del Turismo – ma anche del Cinema – rivela dell’idea di «una fiction sul mondo dei vini etnei», convinto della necessità di puntare molto sul canale audiovisivo per dare una svolta alla promozione di Sicilia ed Etna, sulla scia «dell’effetto Montalbano».