Etna, è polemica per l’ordinanza che vieta escursioni ad alta quota

Di Alfio Di Marco / 05 Agosto 2014

NICOLOSI – «L’ordinanza prefettizia che limita le escursioni sull’Etna non solo è fuori luogo e illogica, ma penalizza in maniera drastica il comparto turistico della provincia che fa – o meglio, dovrebbe fare – del vulcano attivo più grande d’Europa il suo fiore all’occhiello»: non cerca giri di parole Paolino Maniscalco, che è stato assessore alla Protezione civile del Comune di Catania dal 1993 al 1999. «Siamo in estate – puntualizza Maniscalco -, l’Etna è in eruzione e i turisti arrivano a frotte sognando di riuscire a osservare dal vivo quello spettacolo che tante volte hanno ammirato in tv. E noi cosa facciamo? Sbattiamo loro la porta in faccia». «È delle scorse settimane – continua – la notizia che il Tg più seguito di Francia ha messo nei titoli d’apertura il blocco delle escursioni sulla nostra montagna. Esagerando pure: “L’Etna chiuso ai turisti”. Ecco, purtroppo, a cosa ha portato l’ordinanza emessa a febbraio dalla Prefettura e rimasta lì, come una spada di Damocle sul capo degli operatori turistici, delle guide e di quanti vorrebbero visitare la Montagna. Certo, poi ci sono quelli che se ne fregano e, approfittando della vastità del territorio, salgono ugualmente in quota senza controlli. E in questo caso sì, rischiando davvero».   Ma allora, qual è la decisione giusta da prendere? Maniscalco fa una pausa, tira fuori una vecchia foto, poi ricomincia: «Tutto nasce dallo snaturamento della Protezione civile fatto anni fa, quando si usò il ruolo del dipartimento nazionale per trovare scorciatoie sugli appalti. Ma la regola prima della Protezione civile è quella della diffusione della cultura dell’autoprotezione. Santo Iddio – esclama indicando la foto -, questa immagine è degli anni Cinquanta: ritrae mio padre (che si occupava della gestione del rifugio vulcanologico sull’Etna) seduto davanti a un grande cartello che, in quattro lingue, recita: “Attenzione, in conseguenza dell’attuale eruzione, è molto pericoloso accedere alle zone del vulcano nei pressi del cratere di Nord-Est, senza essere accompagnati dalle guide autorizzate”.   «Già negli anni Cinquanta, dunque, era elevato il senso di responsabilità in merito alla salvaguardia di quanti frequentano il vulcano. Ma lo è anche oggi come allora. Sull’Etna come sulle Alpi. Se si preclude l’accesso all’area sommitale del vulcano perché “è pericoloso”, allora, allo stesso modo, bisognerebbe proibire gli sport estremi o le scalate sulle pareti del Bianco, predel Cervino o delle Tre Cime di Lavaredo, perché anche in quel caso “è pericoloso”. No, la mia esperienza nelle stanze del comando mi induce a ritenere che l’ordinanza della Prefettura non sia stata emessa per la protezione del cittadino-turista, bensì per la sicurezza degli stessi funzionari, che temono eventuali incidenti e che magari non sono mai stati in montagna e non sanno nemmeno di cosa stanno trattando». «Lo dico da ex assessore alla Protezione civile e da escursionista navigato che ogni settimana macina chilometri sulle lave dell’Etna: i pericoli sul nostro vulcano ci sono come su qualunque altra montagna, o come nella riserva di Pantalica, o nel Parco d’Abruzzo. Chiudere l’Etna paventando possibili incidenti mi riporta alla mente le “grida” dei Promessi Sposi che elencavano tutti i reati possibili e minacciavano sfracelli contro chi non le avesse rispettate. Grida assolutamente prive di reale efficacia ». «Dopo la tragedia dell’Aquila – prosegue Maniscalco – è diventato uso comune fare di tutta l’erba un fascio. In tema di sicurezza, nessuno si prende più alcuna responsabilità. Credo che il Parco e i Comuni in questo abbiano le loro colpe: si facciano avanti i sindaci, si faccia avanti il Parco. Sono loro che devono riappropriarsi del territorio. Gestendolo al meglio, anche con il supporto costruttivo della Protezione civile e il parere scientifico dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) ».   «Lo si capisce bene – conclude Paolino Maniscalco -: non sto invocando l’anarchia, ma il rispetto vero della sicurezza. Che va affidata nelle mani delle guide professioniste, uomini che la Montagna la vivono 365 giorni all’anno, 24 ore su 24. Con l’ordinanza in vigore, vige invece il menefreghismo. Ora si rischia davvero che qualcuno si faccia male. L’attuale attività alla base del cratere di Nord-Est è quella che si suol dire “un’eruzione turistica”, spettacolare ma d’energia contenuta. Con i divieti, si tarpano però le ali all’economia. Perché, per esempio, nessuno ha alzato la voce quando tre anni fa una escursionista è morta nei pressi dei Sartorius perché colpita da infarto? Forse quella signora poteva essere salvata se l’Elisoccorso fosse giunto in tempo. Ma l’elicottero non aveva dove atterrare… E allora, si pensi di più a creare le condizioni vere di salvaguardia della salute pubblica su tutta l’Etna. Perché, chiudere parzialmente il vulcano è un po’ come mettere la testa sotto la sabbia per non sentire e non vedere i pericoli».   L’ORDINANZA CONTESTATA Ecco lo stralcio del testo della contestata ordinanza della Prefettura di Catania sui divieti di escursione sull’Etna: «Procedure di allertamento rischio vulcanico e modalità di fruizione per la zona sommitale del Vulcano Etna che regolano l’accesso alla zona sommitale (al paragrafo, Attività turistico-escursionistica in zona sommitale in prossimità dei campi lavici) … In particolare, si è deciso di consentire l’attività turistico-escursionistica sul versante Sud (Nicolosi) fino alla quota di metri 2920 s. l. m. in prossimità di Torre del Filosofo, e sul versante Nord (Linguaglossa) fino alla quota di metri 2990 circa s. l. m., in prossimità di Punta Lucia, esclusivamente se coordinata da personale abilitato per legge e con le modalità riportate nel documento». «E’ stato consentito, altresì, di svolgere liberamente l’attività turistico-escursionistica sul versante sud (Nicolosi), fino alla quota di metri 2500 circa s. l. m., in prossimità arrivo Funivia e zone circostanti e sul versante nordest (Linguaglossa), fino alla quota di 2450 metri circa s. l. m., in prossimità di Monte Pizzillo». Sarebbe invece stato revocato – ma manca la comunicazione ufficiale – «l’assoluto divieto di accesso all’intera Valle del Bove ed in particolare al sentiero che si diparte dalla località Vallone Fontanelle/Case Fichera del Comune di Milo, posto a quota 1240 metri s. l. m. ».

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Redazione
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