Ma più che per l’ammirazione lo stupore è figlio dell’incredibile obbrobrio di materiale plastico che ricopre questa struttura risalente al IV secolo avanti Cristo, una cappa di pessimo gusto che, di fatto, lo rende pressoché invisibile.
Ma del resto è questo, da decenni, il destino di questo teatro costruito quando Eraclea era una colonia di Akragas e quando era spesso al centro delle contese tra gli stessi akragantini e i selinuntini.
Il teatro fu riportato alla luce nel 1953. Il posto è mozzafiato perché sorge sul promontorio di Capo Bianco, sotto il quale c’è un lungo tratto di spiaggia protetto da una splendida pineta. La cavea, che ha un diametro di 33 metri, ha anche delle caratteristiche che la rendono.
Intanto è orientata verso sud – contraddicendo così la tradizione architettonica dell’epoca che privilegiava l’orientamento est ovest – e inoltre anziché costruito in pietra fu edificato col materiale che da queste parti abbonda e cioè la marna. Ed è stata proprio questa la sua condanna in epoca moderna. Perché se quasi 2500 anni fa le fonti – che comunque non sono tante – non fanno cenno di usura dovuta alle intemperie, negli anni Sessanta, e dunque subito dopo essere stato riportato alla luce, gli archeologi il problema se lo posero. Dicevano che il vento lo avrebbe eroso in poco tempo e che la pioggia lo avrebbe ridotto ad una poltiglia. Ed escogitarono una soluzione che forse all’epoca era «filosoficamente» accettabile ma che oggi grida vendetta, soprattutto perché non solo ha provocato più danni che benefici ma anche perché non è stata ancora trovata una soluzione alternativa, e perché pure il nuovo progetto di restauro non prevede la rimozione della copertura ma addirittura prevede l’ipotesi di riproporla, siapure, dicono i progettisti, con materiali meno invasivi e più idonei (struttura in acciaio inox e copertura in makrolon alveolare). Sta di fatto che negli anni Sessanta l’architetto Franco Minissi, all’epoca un archistar dell’archeologia conservativa, progettò e fece realizzare una copertura in plexiglass che, alla lunga, anziché proteggere il teatro ne stava provocando la distruzione. E così una quindicina di anni fa quella copertura fu rimossa e sostituita, in via «provvisoria», con un’altra che è però ancora «regolarmente» là. Eppure in Soprintendenza ad Agrigento il dibattito c’è stato. Lo stesso Gaetano Tripodi, l’architetto che ha firmato il progetto di restauro prevedendo un’altra copertura, è tra i fautori dell’ipotesi «teatro libero». Ma alla fine ha rivinto il partito dell’obbrobrio, quello cioè che sostiene che il teatro vada difeso sottraendolo di fatto alla fruizione. Tanto valeva, probabilmente, lasciarlo ricoperto dalla terra come lo era prima del 1953. L’area archeologica di Eraclea soffre ovviamente di questo clima di incertezza ultradecennale perché pure la copertura «provvisoria» mostra i segni del tempo. E non solo per qualche lastra di plexiglass ammonticchiata qua e là ai lati della struttura ma anche per le soluzioni che all’epoca, primi anni Duemila, furono adottate. Come quella di utilizzare, per canalizzare le acque piovane, tubi di plastica di quelli in uso nei condomini delle periferie delle grandi città, di colore arancione. Alla fine si tratta dell’ultimo schiaffo che, per fortuna (e questo è un paradosso) vedono davvero in pochi: il sito di Eraclea è infatti visitato da poche centinaia di persone all’anno. Ma non è certamente questo il caso “dell’occhio che non vede, cuore che non duole”. Quella copertura, qualunque sia il materiale utilizzato anche in futuro, resta un’offesa che dovrebbe spingere archeologi e tecnici a trovare una soluzione alternativa.
Il progetto
Il Progetto di restauro, valorizzazione e fruizione di Eraclea Minoa, per un importo di circa 2 milioni è stato redatto dalla Soprintendenza di Agrigento (progettista Gaetano Tripodi, strutture Antonino Fera, consulenza archeologica Domenica Gullì) nel 2014. Attende ancora di essere finanziato, ma alla luce della riforme del Codice degli appalti dovrà essere rivisto.
Il progetto, oltre alla ristrutturazione di alcuni edifici insistenti nell’area, compreso l’antiquarium comprende anche la manutenzione conservativa delle strutture del teatro, la nuova copertura e l’illuminazione scenografica.