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E’ morto Francesco Saverio Borrelli: con lui nacque pool “Mani pulite”
MILANO – Non era solo l’uomo del «resistere, resistere, resistere» contro lo sgretolamento e il naufragio della coscienza civica e del senso del diritto, ma era anche colui che sulle orme del suo «maestro» Piero Calamandrei era convinto che al magistrato spettasse il ruolo di «scudo della legalità». Ruolo cui lui ha creduto sempre e che ha sempre perseguito con rigore in tutta la sua carriera. Con la sua scomparsa, Francesco Saverio Borrelli lascia un grande vuoto nella magistratura italiana. Vuoto che si aggiunge a un profondo dolore per la perdita di chi per quasi mezzo secolo è stato uno dei protagonisti della storia giudiziaria, e non solo, del nostro paese e che non si è risparmiato, scendendo in trincea, per difendere le toghe, i suoi pm, e la loro indipendenza. Con lui, commentano ora in molti, se ne va un punto fermo per chi è ‘cresciutò seguendo i suoi insegnamenti poi ereditati dalle nuove leve. Una figura che «ha incarnato l’essenza del magistrato», cioè di chi si è messo a disposizione dello Stato e della collettività facendo della ricerca della verità un vessillo. A ciò va aggiunto un bagaglio culturale notevole dove, accanto ad arte, letteratura, storia e anche attualità, c’era la musica e poi il piacere di andare a cavallo, in bicicletta e a sciare. Suonava il pianoforte e fino a quando ha potuto, sia che fosse la Sala Verdi del Conservatorio, sia il teatro alla Scala o qualche altro palcoscenico, è stato attento estimatore sia degli autori classici, Wagner primo fra tutti, sia dei contemporanei.
Nato a Napoli il 12 aprile 1930, il nonno, il padre Manlio e pure il figlio Andrea magistrati, Borrelli apprezzato da molti ma anche criticato da una certa parte della politica, nel ’52 a Firenze, dove ha studiato al conservatorio, si è laureato in legge a 22 anni con una tesi su ‘Sentimento e sentenzà discussa davanti a Calamandrei. Tre anni dopo la toga e poi i primi passi come giudice civile a Milano, nel palazzo dove il padre era già la più alta carica e dove ha lavorato per 46 anni al netto della parentesi di un anno a Bergamo. Passato al penale ha presieduto sezioni di tribunale e di Corte d’Assise, giudicando anche le Brigate Rosse. La prima condanna che ha letto in aula risale al 1976: dieci anni ad un rapinatore. Negli anni Sessanta è stato tra i fondatori della corrente di Magistratura Democratica. Per molti anni procuratore aggiunto, il 17 marzo 1988 è succeduto a Mauro Gresti alla guida della Procura della Repubblica.
E’ diventato noto soprattutto con l’inizio di Mani Pulite, la maxi-inchiesta che ha coordinato con il vice Gerardo D’Ambrosio, un collega ed amico scomparso il 30 marzo 2014, con il quale, peraltro si è talvolta trovato in disaccordo sui temi di politica giudiziaria. Con un gruppo di magistrati, il cosiddetto ‘pool’ composto da Di Pietro, Davigo, Colombo, Greco e Ilda Boccassini il tentativo è stato colpire la corruzione infiltrata nei rapporti tra mondo politico e imprenditoriale. Dal 1999 al 2002 è stato Procuratore Generale, difendendo con fermezza il principio costituzionale della indipendenza della magistratura. Qualche giorno prima di congedarsi, nel corso di una cerimonia organizzata nel grande atrio del Palagiustizia, visibilmente commosso, tra una pioggia di applausi e strette di mano, ha salutato tutti con un triplice «grazie» con una precisazione, però: «quando le parole sono importanti io sono solito ripeterle per tre voltè, aveva detto lasciando sottintendere il riferimento a quel «resistere, resistere, resistere» pronunciato all’inaugurazione dell’anno giudiziario precedente e che fece scalpore e accese dure polemiche.
Quel giorno aveva assicurato che non sarebbe stato «il classico pensionato che col cagnolino al guinzaglio». Infatti nel maggio del 2006, con ‘Calciopoli, lui, che mai si era appassionato per il calcio, venne nominato capo dell’ufficio indagini della FIGC (Federazione italiana gioco calcio), incarico lasciato nel 2007. Dopo essere stato alla guida del Conservatorio, nel 2012 è stato insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Prima di ritirarsi a vita privata nel 2011, in una intervista chiese «scusa per il disastro seguito a Mani Pulite. Non valeva la pena buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale» Con lui scompare una figura di magistrato, come è stato descritto, rigoroso e integerrimo, e di un padre, come ha ricordato in una lettera di commiato, che ha «saputo dare» e che non ha «mai smesso di trasmettere tutto ciò che per te valeva la pena di trasmettere».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA