E l’Europa sta a guardare
E l’Europa sta a guardare
A guardare il Mediterraneo sui depliant turistici con le offerte di fantastiche crociere, si ha l’impressione di vivere in un paradiso. Solo che da alcuni anni, e oggi più di prima, in questo paradiso si muore. Ieri trenta disperati; poco tempo fa, trecento. Fare la conta degli ultimi anni è difficile. Un’odissea di morte senza fine. Non siamo più in grado di accogliere i loro corpi. Il sindaco di Pozzallo proprio ieri lanciava un appello: non per ospitare i vivi (negli ultimi giorni ne sono arrivati cinquemila), ed è già un grosso problema, ma per dare almeno una cella frigorifera alle salme. Non scopriamo oggi che in Sicilia l’immigrazione è una emergenza drammatica tra le tante emergenze che l’Isola ha. L’SOS stavolta a lanciarlo non sono solo quei poveracci in balìa delle onde, ma noi siciliani. Non si può continuare a vedere affogare nel nostro mare centinaia di uomini donne bambini in cerca di una terra che promessa non è. L’Italia ha esaurito persino le soluzioni d’emergenza. L’Europa sta a guardare. E assieme a lei il Mondo. Le guerre in Africa, in Asia sono ormai senza fine. Riguardano Paesi che liberatisi dalle dittature sono alla ricerca di un assetto istituzionale difficile da conquistare. Rischiano di passare da una dittatura all’altra o rischiano di cadere in mano a terroristi sanguinari. Un problema mondiale, che ha nella Sicilia solo l’inizio. Una Lampedusa allargata. Gli scafisti sono tanti Caronte, traghettano queste anime in pena, facendo pagare un dazio pesante in denaro e in vite umane. Salvini, il vivace segretario della Lega, potrebbe avere anche ragione quando pone il drammatico problema, solo che il suo timore non è in un’ottica meridionalista ma di vedere questa gente povera e senza meta, spingersi sino alle sue terre. A “sporcare” la verde Padania, a consumare cibo e togliere lavoro alla sua gente. Come nel passato erano i tanti “maledetti” meridionali. Noi siciliani siamo più accomodanti: accogliamo questi poveracci, perché sappiamo cosa significhi essere emigranti. Tra l’altro non abbiamo paura che ci rubino il lavoro. Non c’è neanche per noi. Anche se qualcuno ne approfitta lo stesso, sfruttando questa dolente manovalanza in cambio di qualche euro al giorno. O, cosa più grave, avviandola alla criminalità o alla prostituzione. Facciamo l’elemosina ai lavavetro posti agli angoli delle strade, magari spesso ci spazientiamo; la impieghiamo in lavoretti ai quali noi difficilmente ci abituiamo. Al contrario, i nostri giovani preferiscono andare in Inghilterra o in Germania a fare i camerieri. Lì si sentono più realizzati che da noi. Chi entra e chi esce, una migrazione dove da una parte c’è gente disperata in fuga dal proprio paese per fame e per paura tanto da mettere in gioco la propria vita; dall’altra c’è chi non rischia la vita ma parte per un futuro migliore rispetto a quello di casa nostra. Perdiamo quel capitale umano che potrebbe aiutare la nostra Terra a risorgere. La Sicilia oggi è crocevia di vita e di morte. Le onde del Mediterraneo spingono e risucchiano allo stesso tempo speranze e tragedie. Bruxelles è troppo lontana per capire. Burocratica e cinica fa la conta del latte, del pesce, della carne e anche delle arance da limitarle persino nelle spremute. Per i morti e per quelli che a stento sono riusciti a sopravvivere, basta solo una indignata dichiarazione. Trionfa l’ipocrisia. Il resto, per loro, è vita. Anzi, morte.