Sorpresa Catania. La città dell’«arrusti e mangia» si scopre la più vegana di Sicilia, se è vero che da Trapani a Messina i curiosi del mondo veg (e non necessariamente già votati alla causa) si mettono in autostrada per seguire i corsi di cucina organizzati dall’Associazione VegSicilia, un’organizzazione di settore che ha creato una rete virtuosa tra produttori e consumatori a suon di incontri culturali, corsi di cucina, show cooking di chef vegani e dibattiti con medici e produttori.
Nel suo primo anno di vita (ha sede là dove c’era una macelleria, potenza del contrappasso) è già diventata un punto di riferimento per chi vuole conoscere il mondo veg, lontano dallo stereotipo Anni Settanta della setta di integralisti dell’insalata che deve fare proseliti a tutti i costi.
«Noi non dobbiamo convincere nessuno – chiarisce la presidente Luce Pennisi – ci interessa solo fornire alla gente le informazioni giuste per una scelta consapevole. Non si tratta solo decidere di comprare delle alternative vegetali (soggette a speculazione come ogni tendenza), al prodotto animale. Non dobbiamo essere migliori, ma rappresentare un punto di vista diverso».
La presidente di VegSicilia Luce Pennisi con lo chef Martino Beria
Ma come si traduce questa proposta veg in salsa sicula? Con i numeri, quelli di un sondaggio proposto da VegSicilia ai suoi aficionados. Niente di scientifico, sia chiaro, ma un punto di partenza per capire quale peso abbia la scelta vegana sulle tavole (e sulla coscienza) dei siciliani. Dalla mini-ricerca condotta nel maggio 2017, su quanti vegani e vegetariani ci siano in Sicilia, l’indicatore è decisamente a favore dei vegani con il 68,69 per cento contro il 31,31% dei vegetariani. Tra chi si dichiara l’uno o l’altro, il 48% risiede a Catania, seguita da Palermo (17%), Siracusa 15%, Ragusa 7%, Messina 6%, Trapani 3%, Agrigento 2%, Enna e Caltanissetta chiudono la classifica con l’1% ciascuno.
«Catania – sostiene Lina Siracusa di VegSicilia – sembra essere un vero propulsore veg. Nelle altre province incoraggiate anche dall’esempio catanese stanno nascendo attività ricettive vegan e vegan friendly. Oggi è possibile fare un soggiorno vegan in Sicilia senza doversi barcamenare, come spesso capita ai vegani di tutt’Italia, tra la solita insalata e le verdure grigliate da vegani sfigati».
Ma qual è l’identikit del vegano siciliano? Donna, over trenta, di cultura e possibilità economiche medio-alte. Poi ci sono anche i ragazzi che si avvicinano per motivi etici, perché la fase dello sviluppo corrisponde spesso a quella degli idealismi, si informano perché pensano alla sofferenza animale, invece gli adulti vengono, almeno all’inizio per un questione salutistica.
«In generale è gente curiosa che si fa delle domande sul mangiar sano – aggiunge Pennisi -, partono da questa curiosità di base. Sono attenti e molto spirituali non è solo una cosa legata al cibo, ma anche alla meditazione, all’energia. L’80% delle persone che viene da noi chiede di conoscere un’alternativa, non sono né vegetariani, né vegani, ma vogliono sapere come fare una scelta salutista, perché magari hanno sofferto di una patologia. Comunque molte persone che hanno frequentato i nostri corsi di cucina restano onnivore, magari cominciano a ridurre la carne, il pesce e i latticini, imparano le tecniche per cucinare certi ingredienti sconosciuti oppure a fare dei piatti vegani in poco tempo, poi magari la sera ritornano a mangiare il panino con la carne di cavallo».
«Infatti la prima cosa che preoccupa le mamme spinte dalle figlie che hanno scelto di abbracciare una dieta vegetariana, è imparare a cucinare piatti veloci – sottolinea Siracusa – perché c’è la convinzione che sia difficile fare piatti gustosi se vegani. Noi ci preoccupiamo di dimostrare che non c’è tutta questa difficoltà e che si possono abbinare cereali, legumi, semi, in maniera creativa».
L’obiettivo dichiarato è duplice: far passare il messaggio che essere vegano non significa necessariamente far parte di un élite (un problema che nel comprare “biologico” esiste soprattutto per i costi non proprio accessibili) e invitare i consumatori a comprare a a km zero.
“Corsiste” ad una delle lezioni sulla cucina vegana
«Oggi in Sicilia – afferma Pennisi -c’è chi produce zenzero, avocado, bacche di goji e questo grazie anche alla nuova domanda di questi prodotti. Ci sono contadini lungimiranti che stanno cominciando a coltivare anche frutta e spezie. L’idea è far sviluppare sull’idea del consumo vegano tutto il territorio in maniera consapevole, cioè legando gli acquisti alla natura, alla stagionalità, senza veleni».
Nel 2017, l’Associazione ha già organizzato 45 tra laboratori di cucinavegan facile, pasticceria, degustazioni di vino vegano, incontri sul vegan gluten free, sui “formaggi” e le e proteine vegetali. Ciliegina sulla torta l’appuntamento per professionisti dei fornelli con lo chef Martino Beria uno dei guru europei nel campo dell’alimentazione sana. E poi sono state avviate delle collaborazione con produttori di olio, pasta, farina, scelti in base al territorio.
«Ci siamo rese conto che l’informazione su questi temi è scarsa, tante volte si mangia per abitudine. Capita di sentirsi dire frasi come “Io amo le verdure, però amo mangiare bene…”, come se mangiare vegano fosse aprioristicamente ritenuta un’alimentazione di serie B. Significa che c’è proprio un gap informativo che lascia le notizie in superficie e si ferma sull’equazione “verdure uguale roba verde». In realtà c’è molto più di questo, i legumi, i cereali, sulle nostre tavole erano molto più presenti 60 anni fa di quanto non siano oggi».
La ricetta dello chef Martino Beria
“La mia Terra” (Patate alla brace con ristretto di nero d’Avola)
Ingredienti
3 patate rustiche (dell’Etna, di Rotzo, ecc…) da 70g l’una
1 cipolla di Tropea (oppure di Acquaviva o similari) da 200g
500 ml di Nero d’Avola (o vino rosso intenso e molto rotondo)
qualche foglia di mentuccia fresca
qualche foglia di prezzemolo
pepe nero in grani
olio extravergine d’oliva molto intenso (monti iblei, toscano dop, di Puglia, ecc…)
sale fino integrale
Preparazione
Accendete un fuoco, possibilmente di legna (non con carbonella).
Lavate le patate sotto acqua corrente con l’aiuto di una spugnetta pulita, fino ad eliminare ogni residuo di terra. Avvolgetele nella carta stagnola avendo cura di non usarne troppa per ogni patata.
Quando il fuoco avrà iniziato a produrre braci, mettete le patate incartocciate e la cipolla con la buccia dentro al braciere, coprendole leggermente con le braci. Lasciate cucinare per almeno 40 minuti, aggiungendo man mano le nuove braci.
Nel frattempo preparate un intingolo con menta e prezzemolo tritati grossolanamente e mescolati all’olio. Mettete in una casseruola il vino e lasciatelo ridurre per 1 ora, fino a che non diventa una glassa semi densa.
Quando le patate saranno pronte (dovranno essere ben bruciate esternamente), toglietele dal fuoco assieme alla cipolla. Tagliate le patate a dadolata grossolana, e conditele in una boule con l’intingolo e un po’ di sale.
Eliminate la buccia bruciata della cipolla e tagliatela a julienne di 7mm e conditela con un filo d’olio e sale.