Noto: la città, la diocesi, la musica. E’ il triangolo perfetto in cui mons. Antonio Staglianò, il vescovo “canterino” – definizione che comunque al diretto interessato non piace molto – ha quasi ribaltato il modo di parlare ai giovani per diffondere gli insegnamenti di Gesù. Le sue omelie sono diventate storia – e anche libri – ma guai ad esagerare con l’argomento. Si rischia di far scadere tutto verso il basso. Il messaggio è chiaro. Mons. Staglianò usa i ritornelli delle “canzonette” semplicemente perché «i giovani conoscono già le parole e io cerco di farli riflettere sull’essenza della vita».
Calabrese, 58 anni compiuti a giugno, gli ultimi 9 passati nella diocesi di Noto. E di passi in avanti la città nel frattempo ne ha fatti.
Sua Eccellenza, Noto è cresciuta tanto in questi anni. E’ una città viva, che batte tanti colpi…
«Ero arrivato a Noto conoscendola come città “ingegnosa”, ma devo dire che progressivamente in 9 anni tante cose sono cambiate. C’è stata un’evoluzione, una crescita culturale che non è solo dipesa dal Barocco. L’approccio alla cultura, che sia arte, letteratura o musica, è arrivata col tempo e, permettetemelo di dire, con grande gioia».
Mons. Staglianò e la chitarra, un binomio inscindibile
Quale è stato l’approccio con la musica del vescovo Staglianò?
«Don Tonino, chiamatemi pure così, ha cominciato adolescente, ai tempi della scuola media. Mi ricordo poi che in seminario a Crotone c’erano 2 chitarre a disposizione e da lì ho imparato a suonare. Con alcuni amici abbiamo anche scritto alcune canzoni e composto la musica. Ma erano solo prove rudimentali. Poi mi sono trasferito al seminario di Reggio Calabria e qui mi sono avvicinato alla musica leggera. Erano tempi diversi rispetto a quelli di Crotone. Era il tempo delle riflessioni. Ma ascoltavo sempre gli artisti di quegli anni».
Ovvero?
«Così su due piedi mi ricordo i Pooh e i Cugini di campagna. Anche se ad essere sincero mi incuriosivano di più i cantautori. E allora ecco che spesso ascoltavo Lucio Battisti, Fabrizio De André e Francesco De Gregori. Mi piacevano anche Claudio Baglioni e Riccardo Cocciante. Soprattutto quest’ultimo».
Perché?
«L’album “L’alba”, da cui poi estrasse anche un omonimo singolo, era indicativo di un pessimismo che andava contrastato. Come? Con la fede in Gesù».
E tra i cantanti di adesso, chi c’è nella playlist di don Tonino?
«A dire il vero non ho un cantante preferito. Ma siccome so che molti giovani seguono i cantanti di oggi li seguo con un certo interesse. Penso a Marco Mengoni, Arisa, Noemi o Renato Zero. Con gli anni mi sono approcciato alla musica classica: Mozart, Hendel, Čajkovskij o Chopin».
Allora il festival Notomusica, giunto alla 42a edizione, è un appuntamento che sembra fatto apposta per lei. Magari riuscirebbe a trovare un modo per far avvicinare un po’ di giovani a questo tipo di musica?
«Non sta a me dirlo, però certe volte ho spiegato che non basta avere un monumento per dire che il monumento esiste. Come detto prima, il Barocco è espressione oggettiva e monumentale. Ma ci vuole l’educazione allo sguardo. E allo stesso modo ci vuole l’educazione all’ascolto. I giovani non potranno mai appassionarsi alla musica classica perché non è proposta. Non è facile per esempio lasciarsi trasportare dalla 9a sinfonia di Beethoven (nel frattempo la canticchia, ndr), eppure è gustosissima. Serve un processo educativo che educhi, abitui a un certo tipo di cose. Ma non dimentichiamoci che viviamo nella società dell’ipermercato, siamo travolti da dilemmi inutili a cui si cercano risposte facili (qui riprende Francesco Gabbani e la canzone con cui ha vinto Sanremo Occidentali’s Karma nda)».
Vuol dire che Mannarino e Mario Biondi, cantanti attesi a Noto rispettivamente il 18 e il 23 agosto, non avranno problemi col pubblico giovanile?
«Sono cantanti importanti, autori impegnati e esaminare i problemi esistenziali ma anche a dare risposte positive. Dobbiamo cercare di vivere responsabilmente, ma di essere sempre liberi nelle nostre scelte».
Proviamo a fare una playlist di questa estate 2017?
«Al primo posto metto Pace di Amara, poi Che sia benedetta di Fiorella Mannoia. E aggiungo anche Vietato morire di Ermal Meta e Parole in circolo di Marco Mengoni».
Ultimo cd ascoltato?
«De Gregori che canta Bob Dylan. E poi sto lavorando molto sulla musica per pianoforte di Ludovico Einaudi. C’è quella Nuvole bianche che merita molto».
Legge e ascolta molto. E ha scritto anche qualche canzone?
«Si, alcune le ho scritte e anche arrangiate. Sono molto legato a La voce dell’amore, un testo in cui cerco di spiegare che l’amore non è qualcosa che viene prodotto ma vive dall’esterno e dall’alto. Provo a spiegarmi. L’uomo è fatto per amare, ma deve essere attivato da altro. Mi rifaccio molto a Fatti avanti amore di Nek e al testo di Sanremo della Mannoia».
Come sta trascorrendo questi mesi d’estate?
«Sto leggendo alcuni romanzi. Attualmente sul mio comodino c’è La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth. E poi sto lavorando al mio prossimo libro, ancora una volta con Rubettino. Titolo: Pop Theology. Autocritica del cattolicesimo convenzionale per un cristianesimo umano».
Ma poi come è finita coi Pokemon? Si ricorda che nella “sua” cattedrale dedicata a San Nicolò c’era anche una palestra virtuale ideata da quel famoso gioco che l’anno scorso invase la quotidianità di tanti giovani?
«Adesso non se ne parla più. Lo dico sempre che viviamo in una società liquida e anche quella moda è sparita».
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