L’inchiesta condotta dalla “Sicilia” sull’economia e i consumi dei siciliani rappresenta un perfetto esempio di quell’”informazione di qualità” sulla quale si gioca il futuro dei media e, con loro, della stessa democrazia. Al di là dei dati che ci ha fornito, essa ha avuto il merito, tra l’altro, di richiamarci a due aspetti di interesse generale, riassumibili in due parole: Mezzogiorno e Mediterraneo.
Da troppo tempo la questione meridionale è scomparsa dai radar del dibattito politico, schiacciata tra opposte tendenze quali l’indifferenza, l’ignoranza, il revanscismo e il vittimismo. Ma la debolezza dell’economia meridionale resta condizionante per lo sviluppo dell’intera economia e società nazionali: il dibattito resta apertissimo sulle politiche seguite in passato, sui risultati deludenti, sul cosa si sarebbe potuto, o dovuto, fare altrimenti. Ma i dati sono implacabili a ricordarci di un divario che resta, in alcuni casi, drammatico e che spiega, per esempio, la ripresa di ondate migratorie interne che svuotano il Sud e la Sicilia delle forze migliori. “E’ impensabile – notava qualche mese fa il vice direttore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta – che l’Italia possa crescere a ritmi adeguati e in modo sostenibile se stenta a svilupparsi un’area che rappresenta i due quinti del suo territorio, un terzo della sua popolazione e un quarto del prodotto interno. Quando l’Italia ha sperimentato i maggiori tassi di crescita della sua storia il Mezzogiorno cresceva più del resto del Paese”. Il Mezzogiorno e il suo sviluppo sono insomma questione nazionale, tanto più quando il Paese tutto sembra di nuovo incepparsi.
In questo quadro, la Sicilia conferma la sua posizione tutta particolare. Alcuni dati recenti, sottolineati dalla stessa Banca d’Italia nel suo Aggiornamento congiunturale sull’economia della Sicilia, ricordano che non tutto è paralisi, e che continuano a manifestarsi segni importanti di iniziative e successi imprenditoriali. Il recupero di fine d’anno nella gestione dei fondi europei rappresenta un’ulteriore conferma degli spazi possibili per ridare slancio all’economia, agli investimenti e ai consumi della regione. Ma la strada resta impervia, e il cammino sarà segnato dall’esigenza di individuare strategie di sviluppo innovative e coraggiose, sulle quali si dovranno misurare, coordinandosi, l’iniziativa privata, il supporto pubblico e la vitalità della società civile.
La nuova configurazione degli equilibri geostrategici, la rivoluzione demografica, la redistribuzione della popolazione planetaria, il nuovo protagonismo di potenze quali la Cina attribuiscono al Mediterraneo funzione e ruolo del tutto nuovo rispetto agli equilibri sia del mondo gessificato dagli equilibri della guerra fredda sia di quello shakerato da una globalizzazione incapace di valutare i costi del proprio successo (col che non manifesto opposizione alla globalizzazione, ma rivendico l’esigenza di governarne i traumi, altrettanto innegabili rispetto ai meriti). Al centro del rinnovato protagonismo del Mediterraneo, la Sicilia potrà svolgere un ruolo insostituibile: pensiamo solo al ridisegnarsi delle rotte internazionali del commercio, segnate dal visionario progetto cinese delle nuove vie della seta, e dalle rinnovate ambizioni di quella potenza nei confronti del gigante africano, al quale la regione non potrà rimanere estranea. E sbaglieremmo a immaginare questo ruolo esclusivamente in termini (peraltro irrinunciabili) di infrastrutture fisiche; pensiamo ad esempio al ruolo che la Sicilia potrebbe giocare come grande piattaforma formativa e di innovazione del Mediterraneo. Un ruolo questo sul quale, appunto, si misurerà la capacità strategica, imprenditoriale, innovativa e di visione di attori privati, soggetti pubblici e istituzioni quali università, grandi centri di cultura, fondazioni.
Ne segue che a segnare il destino della Sicilia non sarà l’autarchia, ma l’apertura: ai commerci, all’innovazione, ai flussi turistici, agli investimenti. E’ un destino segnato dalle pagine più gloriose del proprio passato. E’ un futuro da costruire recuperando la capacità di essere protagonisti della modernità. E’ un domani da garantire ai giovani siciliani di oggi, attraverso il successo di politiche formative e il consolidarsi di una più consapevole società civile. La ripresa si misurerà insomma attraverso più confortanti indicatori economici non meno che con costanti segnali di quella rafforzata consapevolezza civile di cui tanti giovani, e non solo, continuano a dare prova in condizioni spesso eroiche.
Salvatore Carrubba, vicepresidente Fondazione Sicilia