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De Bortoli senza filtro «Renzi sarà vittima delle sue promesse Crocetta, un peccato»

De Bortoli senza filtro «Renzi sarà vittima delle sue promesse Crocetta, un peccato»

«Narcisismo renziano fine a se stesso. Semestre italiano, Letta avrebbe fatto meglio».

Di Mario Barresi |

Il vangelo secondo Matteo è «un narcisismo fine a se stesso», con il tetro vaticinio che «un giorno possa essere vittima delle promesse che ha sparso». Non fa sconti, Ferruccio De Bortoli, a due mesi di distanza dal duro editoriale contro Renzi: «Nulla da togliere e nulla da aggiungere». Anzi no, perché in più c’è un duro giudizio sul semestre di presidenza italiana dell’Ue («un fallimento»), oltre che una critica sull’opacità del patto del Nazareno che potrebbe consegnarci in eredità «un presidente della Repubblica un po’ casuale». Ma il direttore del Corriere della Sera, a Catania per il premio intitolato all’indimenticabile Maria Grazia Cutuli, poco prima del dialogo in teatro con Nino Milazzo, in un’intervista al nostro giornale, parla anche di Crocetta («per la Sicilia è un vero peccato la sua gestione politica»), di Grillo e di Berlusconi. Scommettendo sulla resistenza di giornali e giornalisti, «ancora più utili nell’era dei social network».   Facciamo un tagliando all’editoriale “Il nemico allo specchio”? Cominciava con queste parole: «Devo essere sincero: Renzi non mi convince». «Sinceramente non ho nulla da aggiungere e nemmeno da togliere a quello che ho scritto il 24 settembre. Io mi auguro che le buone idee del governo Renzi non siano sacrificate in nome di una discutibile gestione del potere».   Ma è una bocciatura senza appello? «Io credo che sia un fatto estremamente positivo che al governo di un Paese così ripiegato su se stesso come il nostro ci sia un leader giovane, dinamico, opportunamente spregiudicato, in grado – e qui l’ho apprezzato – di combattere le corporazioni e le incrostazioni che hanno impedito di fare le riforme. Però il dimanismo, il giovanilismo e l’indubbia capacità tattica devono essere accompagnati da competenze, da capacità di scrivere leggi adeguate. Io vedo un grande slancio nell’annunciarle e nel metterle in calendario, queste riforme. Ma grandi difficoltà nel realizzarle in concreto. Col rischio che Renzi possa un giorno essere vittima delle tante promesse che ha sparso».   Altre critiche pesanti a un uomo che non ama essere criticato… «Un grande leader si misura anche dalla capacità di governare il dissenso senza reprimerlo e di cogliere anche da chi non la pensa come lui degli elementi positivi per il Paese. Io vedo un narcisismo renziano fine a se stesso, un certo fastidio per chi non è d’accordo con lui. Con un’insofferenza anche per chi all’interno del governo possa lontanamente oscurarne la visibilità. Renzi è l’unico leader spendibile, in questo momento, ma deve ricordarsi che c’è in gioco un Paese che non avrà altre chance».   Anche perché gli oppositori di questo strambo tripartitismo segnano il passo. «Grillo ha perso slancio teatrale, capacità di stupire. Sembra deteriorato dall’usura del tempo, nonostante il movimento 5 Stelle, secondo i sondaggi, abbia ancora un significativo consenso, che non è riuscito a tradurre in buon governo. La capacità circense di Grillo ha lasciato posto al cupo millenarismo di Casaleggio. Ma a Grillo bisogna riconoscere di rappresentare l’alternativa, dolce e non antidemocratica, la quale raccoglie insoddisfazioni e proteste che in altri Paesi, compresi quelli molto più civili del nostro, assumono contorni razzisti, xenofobi quando non addirituttura antisemiti e negazionisti».   E Berlusconi? Pietrangelo Buttafuoco, in un’intervista al nostro giornale, ha detto che Renzi è il vero erede del Cavaliere. Cosa c’è dietro il patto del Nazareno? «Credo che Renzi sia, nella capacità di comunicare e di far sognare, non dico l’erede di Berlusconi ma certamente un suo interprete. Le riforme istituzionali, comunque, si devono fare con l’incontro fra le due maggiori forze politiche: non è scandaloso che ci sia un avvicinamento. Ma è inaccettabile che ci siano dei contorni così oscuri in questo patto del Nazareno che cercherà di condizionare anche la scelta del nuovo presidente della Repubblica. Sarà un referendum su Renzi, che cercherà di esprimere una personalità a lui vicina e gli altri cercheranno di impedirglielo».   Con quale scenario ipotizzabile? «Rischiamo di avere un presidente della Repubblica un po’ casuale, frutto di troppe mediazioni».   Il “Corriere” dà sempre più spazio all’Europa. Ma c’è la sensazione che il semestre di presidenza italiana sia trascorso senza lasciare il segno? «Per essere sincero: non ci abbiamo nemmeno provato, il semestre italiano è stato un grande fallimento. Sono convinto che il governo Letta avrebbe probabilmente l’avrebbe interpretato meglio, ottenendo ad esempio maggiori sconti sulla flessibilità. È uno dei principali errori di Renzi: ha pensato che al tavolo europeo bastasse agitarsi, essere simpatici e dare pacche sulle spalle, un po’ come faceva Berlusconi. Ma bisogna essere credibili nei fatti: non si può cambiare opinione tre volte sul rapporto fra Ue e Mosca».   Da Strasburgo alla Sicilia. Sulle pagine del “Corriere” spesso emerge un’immagine macchiettistica, comunque negativa. Ma siamo davvero così irredimibili? «Spesso noi commettiamo l’errore di comportarci con la Sicilia come i tedeschi si comportano con l’Italia. È un grande peccato che ci siano gestioni politiche come quella di Crocetta, che danno un’immagine un po’ melodrammatica e macchiettistica della Sicilia, che fa torto alla vostra grande società civile. Che negli anni ha dato il là a un rinascimento, a partire dallo spessore degli imprenditori, al di là di turismo, qualità e bellezza».   I siciliani, singolarmente, sono migliori dell’immagine della Sicilia… «Lo stesso succede in Italia, sia chiaro. Ci sono tantissime persone di successo e di valore. Ma a livello di squadra non si riesce a dare i risultati. E quindi si dice: quello è bravissimo… nonostante sia italiano, o siciliano. Siamo un Paese “all’incirca”. Purtroppo abbiamo un gravissimo deficit di serietà e credibilità. Nonostante ciò abbiamo formato degli anticorpi che in questa fase hanno evitato pericolose derive violente di questa crisi».   Che futuro c’è per i giornali di carta all’epoca della polverizzazione delle notizie su web e social network? «I giornali sono in crisi, ma non sono stati mai letti come oggi. Magari da una moltitudine di lettori non paganti. I contenuti dei giornali hanno una circolazione, purtroppo gratuita, enorme su internet. E magari noi giornalisti siamo pure contenti di essere gli autori di contenuti poi “piratati” e diffusi ovunque… Le notizie sono sempre più una sorta di Ogm, però la centralità dei media è affermata dalle nuove tecnologie. Le grandi autostrade della tecnologia sono vuote di contenuti, non si può pensare di riempirlo con il chiacchiericcio su Facebook, dove si discute sempre di ciò che hanno visto in tv o letto su giornali che magari non hanno comprato. C’è bisogno di contenuti di qualità e magari noi dobbiamo sforzarci di dare risposte innovative, non più compatibile con l’idea dei giornalisti come una corporazione conservatrice e refrattaria al cambiamento».   Oggi ci sarebbe ancora bisogno di una Maria Grazia Cutuli che ci racconta la realtà dai luoghi più difficili? «Oggi più che mai. Le verità non si raccontano in 140 battute: è una soluzione estrema a problemi complessi. La Primavera araba è stata possibile anche per l’avvento dei social network. Ma se ci fossimo limitati, come in parte abbiamo fatto, a raccontarla come l’unione di tutto ciò che si diceva in rete, avremmo raccontato un’altra storia. Ci sono voluti dei giornalisti che sono andati a verificare, smascherando molte cose false che ci arrivavano da questa diretta continua sui social network. Anche in quest’era in cui la comunicazione sembra disponibile sul palmo di ognuno di noi, non ci si deve illudere di essere testimoni diretti della realtà, senza più avere il bisogno dei giornalisti per capirla».

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