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Daniela Policastro: «Io, salvata due volte porterò per la Santuzza una eterna devozione»

Di Sonia Distefano |

«Empio, crudele e disumano tiranno, non ti vergogni di strappare in una donna ciò che tu stesso succhiasti nella madre tua?». Forse per questa frase, riportata negli Atti del Martirio, con cui Agata si rivolge a Quinziano – affermando con forza il valore della femminilità che genera la vita – molte donne durante la gravidanza si rivolgono ad Agata chiedendo protezione. E promettono di indossare e far indossare al neonato il sacco bianco. Questa promessa Daniela Policastro, 35 anni, insegnante catanese, trapiantata da anni in Puglia, la onora da quando era ancora adolescente.

Daniela racconta di aver più volte visto nella sua vita la protezione di Agata, ma la mano taumaturgica della martire catanese racconta di averla percepita soprattutto in due episodi importanti della sua vita: l’improvvisa guarigione da un presunto tumore, dopo aver invocato Sant’Agata, e al momento del parto della sua terza figlia, Diana Agata, nata a Catania il 5 febbraio del 2018, quando lei ha rischiato di morire per una emorragia dopo aver dato alla luce la bambina.

«Sono una mamma di quattro figli – esordisce Daniela – Aurora, 11 anni, Greta, 9 anni, Diana Agata che sta per compiere 3 anni e Jonathan, quasi 2 anni. La mia vita è collegata da un filo invisibile alla Patrona. Sin da piccola la guardavo rapita, innamorata, devota. Un brutto giorno, avevo 16 anni, il collo si gonfiò all’improvviso. I medici pensarono fosse un tumore e così fui ricoverata al reparto oncologico del Policlinico. Era già stato fissato l’intervento per asportare la ghiandola ingrossata che mi deturpava e mi faceva soffrire. Sarebbe stato un intervento invasivo e mia madre si spaventò a tal punto che all’ultimo momento non diede il consenso all’operazione. Tornai a casa demoralizzata. Io volevo essere operata e implorai Sant’Agata con tutto il cuore e le promisi che avrei indossato il sacco. All’improvviso la febbre mi passò e quel gonfiore si asciugò. Ho creduto che Agata avesse ascoltato le mie parole e da quel momento ho sempre parlato con lei pur non potendo frequentare alcuna associazione. La vita mi ha portato fuori dalla Sicilia, ma ogni volta che torno a Catania vado sempre a trovarla, come si va da un parente». Per la nascita della sua terza bambina, voluta e desiderata, Daniela scelse di farsi seguire a Catania, per avere l’appoggio ed il sostegno dei genitori. La gravidanza non fu un percorso facile. Daniela ebbe diversi problemi, minacce di aborto e si temeva un parto prematuro. «Sono stata ricoverata diverse volte al Santo Bambino. Dovevo partorire a fine febbraio e stavo sempre a letto, da dove avevo cominciato a seguire la festa attraverso le dirette tv. Ma al momento dei fuochi del 3 si ruppero le acque e il medico mi ordinò il ricovero. Continuavo a perdere acqua e a seguire la festa in Tv, fino all’arrivo delle contrazioni alle 3 del 5 febbraio. Prima di andare in sala parto vidi il busto di Sant’Agata sull’armadio della stanza, come se fosse proiettato. Mi portarono in sala parto. La bambina nacque velocemente, ma non riuscirono a tirare la placenta, che si era incollata all’utero».

Quindi la violenta emorragia. I medici decisero di portarla in sala operatoria per asportare l’utero ma il sangue si fermò mentre Daniela era ancora in barella. «Quando mi svegliai il dottore mi disse che da medico non sapeva spiegarmi, ma da uomo di fede mi chiese di aggiungere Agata al nome di Diana e le regalò il sacco. Quest’anno, per le restrizioni anti Covid, non sarò a Catania ma Sant’Agata è sempre con me».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA