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Cuffaro perde il pelo ma non il vizio Voto di scambio, 96 indagati a Termini

Di Mario Barresi |

Termini Imerese. Sembrava aver perso il pelo – dopo aver scontato sette anni a Rebibbia per favoreggiamento alla mafia, ora libero cittadino, paladino dei diritti dei carcerati e medico volontario in Burundi – ma evidentemente non ha perso il vizio. Almeno secondo i pm di Termini Imerese, che hanno messo nero su bianco il nome (e la relativa accusa di corruzione elettorale) di Totò Cuffaro, fra i 96 destinatari di un avviso di conclusione delle indagini notificato dalla Procura di Termini Imerese. Oltre all’onnipresente ex governatore sono indagati – a vario titolo, per voto di scambio – anche l’assessore regionale Toto Cordaro (che è anche deputato degli Autonomisti e popolari),  un deputato all’Ars (Alessandro Aricò, capogruppo di DiventeràBellissima) e uno alla Camera (Alessandro Pagano), ex coordinatore regionale della Lega come Angelo Attaguile, anch’esso coinvolto nell’inchiesta. Ma nella lista, diluiti nelle 34 pagine firmate dal sostituto procuratore Annadomenica Fallucci, ci sono anche il candidato (non eletto) nella lista Micari di centrosinistra alle Regionali, Giuseppe Ferrarello e il sindaco di Termini Imerese, Francesco Giunta, sostenuto da uno schieramento di centrodestra.

Tutti assieme trasversalmente, in un’inchiesta-omnibus della Procura di Termini Imerese per far luce su un sistema diffuso di scambio di voti, favoritismi e promesse di posti di lavoro, messo in piedi per condizionare due competizioni elettorali nel 2017: le Regionali e le Comunali a Termini. L’indagine ha casualmente accertato altre irregolarità che coinvolgono il sindaco di Termini, indagato per uso improprio di mezzi dell’autoparco comunale e peculato, e alcuni dipendenti comunali coinvolti in casi di assenteismo.

L’indagine partì due anni fa sul caso del “Caputo sbagliato”. Ovvero dalla candidatura nella lista della Lega di Mario Caputo, fratello dell’ex deputato regionale ed ex sindaco di Monreale Salvino Caputo (entrambi fra gli indagati), che non poteva essere candidato per una condanna per abuso d’ufficio. Al suo posto era stato presentato il fratello ma in campagna elettorale sarebbe stato utilizzato un espediente (il nome di Mario Caputo era accompagnato dalla specificazione «detto Salvino») che avrebbe, secondo il pm, manipolato la volontà degli elettori. Di questa accusa rispondono sia i fratelli Caputo (coinvolti in più ipotesi di reato), sia i leghisti Pagano e Attaguile, qual «determinatori» del trucchetto elettorale, promettendo a Mario Caputo che «se avesse accettato, lo avrebbero candidato alle elezioni nazionali e gli avrebbero conferito un incarico di maggiore prestigio all’interno del partito» di Matteo Salvini

Ma l’upgrade dell’inchiesta, come emerge dalle 34 pagine dell’avviso del pm, riguarda le ultime Regionali. E qui spuntano le accuse per Cuffaro. L’ex governatore (al quale si contesta la «recidiva reiterata e specifica»), che nel 2015 ha finito di scontare una condanna a sette anni per favoreggiamento alla mafia, è indagato per corruzione elettorale in concorso con Filippo Maria Tripoli perché «per ottenere il voto elettorale a vantaggio» del candidato all’Ars, entrambi «promettevano a Amodeo Giuseppe e Amodeo Antonino, che accettavano la promessa», l’assunzione del primo all’Ars; «assunzione che, in effetti, avveniva il 3.4.2018, quando Amodeo Giuseppe stipulava un contratto con il gruppo parlamentare del partito “Popolari ed Autonomisti”». Per la cronaca: Tripoli, da qualche giorno aveva ufficializzato la sua candidatura a sindaco di Bagheria, con una lista civica che ospiterebbe anche esponenti locali dal Pd.

Ad Aricò, capogruppo del movimento di Nello Musumeci a Sala d’Ercole, viene contestato di avere promesso in cambio dei voti un’assunzione a Michele Galioto per il figlio Marcello in un centro clinico (“Salus) con un compenso di 500 euro al mese. Dalle parole ai fatti: l’elettore di Aricò «effettivamente veniva impiegato come tirocinante dalla società “A.Va.Co. Servizi Srl”».

L’assessore regionale Cordaro, con «recidiva generica», è coinvolto in questo modo: «Patanella Vito prometteva a Giunta Francesco, per garantirgli il successo elettorale, un posto di lavoro come corriere, per il tramite di Cordaro Salvatore, detto Toto; Giunta Francesco decideva di far assumere un elettore a piacimento di Rio Agostino, in cambio dell’appoggio elettorale di quest’ultimo»; inoltre, Cordaro, per l’accusa, sia prima che dopo l’elezione di Giunta Francesco, più volte assicurava a Rio Agostino ».

Per il mancato deputato regionale Ferrarello si parla di schede sparite e taroccate in un seggio elettorale. In questa vicenda è coinvolto anche il sindaco di Gangi, Francesco Paolo Migliazzo, oltre a scrutatori, presidenti di seggio e rappresentanti della lista Micari, che – in concorso col candidato Ferrarello «con atti od omissioni contrari alla legge alteravano il risultato delle operazioni elettorali». Ferrarello (che comunque arrivò a circa 9mila preferenze), adesso è tornato nel centrodestra ed è “sindaco-ombra” di Ganci. Ma al primo cittadino “ufficiale”, durante le Regionali 2017, chiamò per chiedergli di telefonare al rappresentante di lista del M5S, Massimo Miserendino (non indagato) per invitarlo a «non rompere i coglioni». Ma la parte più grave delle accuse riguarda i brogli con decine di schede elettorali.

Ma nell’inchiesta, con decine di politici locali ed elettori indagati per lo scambio di voti e favori, entrano pure promesse (talvolta mantenute) di posti di lavoro, promozioni agli esami di maturità, ammissioni ai test di facoltà a numero chiuso. 

Insomma, un altro “suk” elettorale. Con sistemi ormai consueti. La politica siciliana, come sempre, non ci fa una bella figura.

Twitter: @MarioBarresi

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