Crocetta: «Faraone mi istiga a delinquere Al Cara Mineo le indagini sono obbligate»

Di Mario Barresi / 26 Marzo 2015

Ha appena finito di «alzare il tiro sulla lotta a Cosa Nostra, perché ultimamente il rischio è che il tema venga sottovalutato e sarebbe una tragedia», parlando a Montecitorio, in un convegno davanti al Capo dello Stato. E Rosario Crocetta sta per salire su un aereo che non lo riporta in Sicilia, ma la destinazione è Milano, per un’udienza che lo vede contro il settimanale Panorama. La beffarda coincidenza? «Li ho querelati e loro sono stati rinviati a giudizio perché hanno scritto che sono amico dei mafiosi! Il che, oltre a essere una cosa inventata, è un ossimoro: io ho montagne di verbali sulle mie battaglie contro le cosche e dei loro piani per eliminarmi, non si può dare ascolto a quattro imbecilli che mi tirano in ballo perché ce l’hanno con me visto che a Gela ho fatto arrestare decine di boss».

 

Eppure quello che il governatore vuole sputare è un altro rospo. Che ha un nome e un cognome: Davide Faraone, leader renziano, sottosegretario all’Istruzione. “Reo” di una tirata d’orecchi pubblica, in occasione della Lepolda siciliana, al governatore che fa «eccessivo ricorso agli esposti in Procura». Vendetta, tremenda vendetta, ma da consumare come un piatto freddo: così ha fatto Crocetta. Che ieri, guardando dritto negli occhi il presidente Sergio Mattarella, ha scandito: «Un sottosegretario del governo mi è venuto a dire che faccio troppe denunce da presidente della Regione e che ne devo fare di meno».

 

Presidente Crocetta, cos’è un’altra resa dei conti con Faraone?
«Macché… Non ho nemmeno fatto il suo nome. Ho solo risposto all’invito che mi è stato fatto pubblicamente, alla Leopolda. Lì c’era un clima particolare, con personaggi del vecchio sistema. E mi ha detto: troppe denunce fai. Ma come posso non farle? Se non le faccio commetto un reato. Un semplice cittadino è tenuto a farlo se è chiamato a testimoniare, ma per me è diverso. Io sono un pubblico ufficiale e se ho notizia di un reato devo comunicarlo alla magistratura. Se non lo faccio è un’omessa denuncia, ma soprattutto chi mi invita a non esagerare sta facendo un’altra cosa grave: questa è istigazione a delinquere».

 

Ma come, infierisce su un sottosegretario che i nemici di Renzi mettono alla gogna, forse esagerando, come «indagato»…
«Va in televisione sul tema dei sottosegretari indagati. Lui! Ma se tu sei indagato, seppur per una storia di rimborsi di duemila euro, ma che ci vai a fare in televisione? Mandateci qualcun altro…».

 

E invece se la prende con Crocetta per eccesso di denunce.
«Io mi espongo, rischio la vita, mi prendo minacce e querele. Non si può continuare così. Con molta fatica, anche il mio partito sopporta il fatto che sono diventato presidente della Regione Siciliana…qualche solidarietà, talvolta, anche nazionale, la vorrei».

 

Il che dimostra anche che il Pd non la ama.
«Sicuramente non dimostra di amarmi quando permette che avvengano queste cose».

 

Ma in atto, oltre alla guerra fra Pd e Crocetta, c’è anche la guerra delle antimafie…
«Sinceramente il tema non mi appassiona. Non ci sono mai entrato nella mia vita. Contrapporre l’antimafia economica degli imprenditori del pizzo a quella sociale o culturale che possono fare sindacati e associazioni, o a quella della magistratura, mi sembra una cosa senza senso. Si dice spesso: non abbiamo bisogno di più poliziotti, ma di più maestri elementari. Io penso che la mafia si combatte con la polizia e con la cultura».

 

Ha sentito Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia, coinvolto in una vischiosa indagine?
«Montante mi sembra che stia soffrendo in silenzio. Questo io colgo: una grande sofferenza, senza parlare. Sinceramente io lo romperei questo silenzio, risponderei a tutti gli attacchi. Ma probabilmente lui in questa vicenda ha puntato tutto sulla fiducia nella magistratura».

 

Che idea s’è fatto della profezia di Don Luigi Ciotti sui tintinnii di manette imminenti nell’antimafia? 
«Sinceramente non lo so, non mi interessa. In uno Stato democratico è giusto che ognuno svolga il suo ruolo. Non voglio entrare in ciò che è giusto o non lo è. Sono opinioni che vengono espresse. Se lui ha informazioni, però…».

 

Ma è d’accordo sull’antimafia che indaga sull’antimafia?
«Non si indaga sull’antimafia, s’indaga sulla mafia! Se uno è un potere deviato, in qualsiasi posizione sia, è vicino alla mafia. Non conta quello che dichiara di essere, ma quello che realmente è».

 

La domanda va riformulata: è d’accordo che la commissione parlamentare Antimafia indaghi sul movimento antimafia?
«Se le indagini sono formalmente su qualcuno che diceva di essere antimafia, come Helg, che non ho avuto il piacere, si fa per dire, di conoscere, che s’intascava 100mila euro è chiaro che quella è corruzione. Non è antimafia».

 

A proposito di corruzione: al convegno a Montecitorio ha detto che Mafia Capitale non dovrebbe fermarsi a Roma. Il riferimento e al Cara di Mineo?
«Il tema è questo: sulla vicenda dei centri romani nasce l’inchiesta di Mafia Capitale. In questa inchiesta c’è una figura-chiave, che è Odevaine, presente lì, ma anche al Cara di Mineo. Allora, voglio dire: o questo faceva il santo a Mineo e il demone a Roma, oppure qualche problema si pone nel Cara siciliano. Cosa ci faceva questa figura? Quali affari si facevano, non solo lì ma anche al centro di Lampedusa. Poi c’è anche la questione de La Cascina, la cooperativa presente lì, come a Mineo e a Lampedusa… Ma comunque: nel momento in cui c’è una figura come Odevaine, mi sembra automatico che ci debba essere un approfondimento dei magistrati. Poi c’è un altro aspetto, ancora più grave. Se non inquietante».

 

E qual è questo aspetto?
«Perché in Italia tutti i centri di accoglienza sono gestiti direttamente dalle Prefetture, mentre il Cara di Mineo prima viene dato alla Provincia e poi al consorzio dei Comuni? Accanto a questo ci sono una serie di vicende, come quella del sindaco di Mineo che prima era Pd e poi diventa Ncd. Cosa è accaduto in quel territorio?».

 

Cos’è accaduto secondo lei?
«Di certo c’è che Cantone dice che la gara è irregolare: una gara da 100 milioni di euro! A questo punto bisogna verificare alcune cose: se in questa irregolarità si sia voluto favorire qualcuno, chi ha favorito chi, chi è il soggetto ispiratore. In molti riconducono all’allora presidente della Provincia, Castiglione. Tutta questa parte dev’essere chiarita. I cittadini non possono rimanere con questo dubbio. L’indagine sul Cara di Mineo ritengo sia persino obbligatoria, per dire la verità su fatti che inquietano l’opinione pubblica».

 

Che differenza fra il Pd che ad Agrigento imbarca Alessi e il Pd che a Enna storce il naso su Crisafulli?
«Sono due cose differenti (e ride, ndr). Meglio parlarne una alla volta. Da dove cominciamo?».

 

Da Crisafulli pronto a stravincere le primarie, ma tutt’altro che gradito. A partire da Renzi.
«Crisafulli era considerato un impresentabile, un incandidabile. Se è tale lo è per tutti gli appuntamenti, non lo può essere a intermittenza. O ci troviamo davanti a un partito che non funziona, su questa vicenda. C’è un minuetto di cose in cui si può coesistere con la mafia e fare finta che Crisafulli si possa candidare a sindaco di Enna».

 

E Alessi?
«Alessi è un imprenditore, molto conosciuto, presidente della squadra di calcio, ma è del Pdr, un movimento di Cimino. Che ci sia una lista civica vicina a Forza Italia, che ha rotto con la destra di deriva salviniana, è un problema che riguarda Forza Italia, non il centrosinistra. Perché dovremmo essere scontenti che loro litigano, si spaccano e ci fanno vincere?».


twitter: @MarioBarresi

Condividi
Pubblicato da:
Redazione
Tag: altre-notizie