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Crocetta attacca, «Mafia, fatti i nomi dei grandi collusi»
Il presidente della Regione ha consegnato alla commissione due dossier sulle minacce ricevute. «La prima è stata quando ero stato eletto da poco alla presidenza della Regione. Arrivò una telefonata dagli Stati Uniti a un mio collaboratore: ”Dite al presidente che farà la fine di Mattarella”. Poi ne sono arrivate tante altre, che vanno da telefonate anonime a proiettili ricevuti, alla minaccia di essere ammazzato assieme ad Antoci (è il presidente del Parco dei Nebrodi scampato ad un agguato, ndr). Non ho mai dato molto peso alle minacce. Sono una persona molto serena e non posso pensare che quelle minacce vengano da fonti istituzionali. Comunque non ho mai dato molto peso a queste cose, ormai ci ho fatto il callo, è una situazione che vivo dalla mia elezione a sindaco di Gela nel 2003. Non mi lascio impressionare, diciamo che finora sono stato fortunato. Sono sotto scorta da 13 anni».
Ma la telefonata minacciosa dagli Stati Uniti si riferiva alla vicenda del Muos di Niscemi?
«Ma no, come si fa a dire? Anche poi la questione del Muos l’ha risolta sostanzialmente la magistratura. Un politico può trovare da ridire, ma un amministratore non ha scelte: il ministero della Difesa ci chiedeva 39 mila euro al giorno per il mancato funzionamento del Muos, la Regione sarebbe fallita nel giro di pochi mesi».
Ma sulla lotta alla mafia cos’ha detto di preciso?
«Ho fatto nomi e cognomi che sono stati secretati, ma sono tremila pagine fitte di circostanze e di persone. Ho parlato della grande mangiuglia, della truffa alla Regione i cui terreni venivano acquistati a metà del loro valore e poi rivenduti alla stessa Regione al doppio del loro valore reale. Ho parlato della sopraffazione che facevano sui piccoli proprietari che non potevano reagire alle pressioni mafiose, ho parlato di come abbiamo messo riparo allo scandalo della Formazione e dell’aggio pazzesco del 5% sulla Riscossione mentre nel resto d’Italia sono all’1%, ho parlato dei tagli fatti agli sprechi della Sanità, dei 50 e passa milioni che ci costava l’assicurazione. E per quanto riguarda Confindustria siciliana ho detto che all’inizio il legame con Montante e gli altri era quasi obbligatorio e che poi, quando abbiamo visto come andavano le cose, abbiamo preso le distanze. Su questo lato nessuno ci può insegnare niente, noi l’antimafia la facciamo per davvero. Alla fine ho detto ai commissari: consegno al Paese queste carte che rappresentano quattro anni di lotte e di amarezze».
Poi ha toccato temi più politici: «Renzi è stato chiaro: prima bisogna fare altre cose ed è esattamente quello su cui stiamo lavorando. D’altra parte il Ponte non si fa domattina. Nel Patto per il Sud abbiamo messo tanti interventi sulla mobilità, le riqualificazioni urbane, contro il dissesto idrogeologico. Sono 5 miliardi e mezzo in cinque anni che riguardano la Sicilia. Se poi il governo riesce a trovare altre risorse bene, altrimenti il programma degli interventi va avanti».
Quali sono i suoi rapporti con il movimento 5Stelle che alle prossime regionali potrebbe vincere con il suo candidato Cancellieri?
«Io credevo molto in loro, avevo aperto. Poi sono diventati un partito come tutti gli altri. Mi sento deluso, peccato. Sono entrati nella logica dell’appartenenza come tutti gli altri. Partendo dalla gestione della differenziata i Comuni a Cinque Stelle sono quelli che fanno meno differenziata da anni, c’è un loro racconto che non corrisponde alla realtà. I sindaci Cinque Stelle vanno bene quando fin quando sono candidati, poi non più, manca l’affidabilità di un progetto politico, c’è soltanto contestazione. Quelli sono tutti bravi a farla. Il Paese ha bisogno di un vero programma di rinnovamento e un amministratore deve sapere che ci sarà un coalizione che lo sostiene».
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