“Creo (en) un mundo mejor”. Trenta studenti per il progetto italo-spagnolo sulla legalità

Di Virginio Di Carlo / 01 Agosto 2014

Anche Librino può diventare un mondo migliore. Basta usare Il lavoro e le armi del teatro come strumenti di liberazione dalla sopraffazione della criminalità e come forma di partecipazione dei cittadini alla vita di una comunità. E’ quello che si prefigge il progetto “Creo (en) un mundo mejor”, che Arci Catania, con il supporto di Cgil e Spi, inaugurerà domani a Librino, nell’ambito del programma Erasmus plus. Un laboratorio formativo composto da trenta studenti tra i 15 e i 23 anni – quindici dei quali arrivati dalla Spagna, altrettanti italiani (provenienti anche da zone diverse della penisola) – e nato per aprire gli abitanti del quartiere catanese, additato (spesso a torto) come simbolo dell’indifferenza, ad una percezione dell’essere cittadini diversa, spogliata dal condizionamento mafioso che ogni giorno affligge la “città satellite” come tante altre zone del capoluogo etneo.

«E’ il primo progetto di cooperazione internazionale basato sul programma Erasmus plus che si svolge a Librino – va a memoria Rosario Rossi, responsabile area internazionale di Arci Catania – e si svilupperà dal 2 all’11 agosto all’interno e all’esterno delle strutture che affiancano il recuperato campo San Teodoro. E un punto di vista “esterno” alla nostra realtà rappresenta sempre un valore aggiunto quando ci si confronta su temi come la lotta alla mafia e il risveglio della cittadinanza attiva». Interviste agli abitanti, laboratori di serigrafia e gestione del terreno collettivo e raccolta di informazioni. Ma non solo. «L’obiettivo principale – sottolinea Rodolfo Ungheri, coordinatore del campo e anima del progetto – non è tanto quello di raccontare casi singoli o raccogliere denunce. Piuttosto quello di sondare e analizzare la percezione che i cittadini hanno del potere della malavita sulla città e del modo in cui questo opprime vari aspetti della loro vita».

Quasi un confronto su ciò che è normale e su ciò che lo è diventato, pur non essendolo. Perché «l’oppresso che accetta l’oppressione finisce per farsene complice». Ma analizzare il fenomeno mafioso e le sue ripercussioni, prima di tutto di rilevanza economica, su una comunità è solo una fase preliminare alla risoluzione del problema. «Il passo successivo non può che essere quello di coinvolgere i cittadini che subiscono l’oppressione – dice Giorgia Italia, responsabile logistica del progetto – per questo, in sintonia con quanto già fatto dalle reti “Freire” e “Jolly”, abbiamo scelto di adottare le forme e le tecniche del “teatro dell’oppresso” e del “teatro forum” per creare un ponte di partecipazione con gli abitanti di Librino e delle zone limitrofe». Un ponte che, nella penultima giornata del 10 agosto, troverà anche un “collaudo” definitivo con la performance conclusiva in cui saranno i cittadini stessi a salire sul palco. «Ad essere messe in scena – spiega ancora Italia – saranno le dinamiche tipiche dell’oppressore e dell’oppresso, per comprendere come il singolo gesto di ribellione o di semplice presa di coscienza dell’essere parte di una comunità possa modificare, anche nella vita reale, il finale di qualsiasi storia».

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Redazione
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