Conto alla rovescia per Ligabue Catania si prepara alla festa di musica
Conto alla rovescia per Ligabue Catania si prepara alla festa di musica
Mercoledì 11 giugno lo stadio Massimino accoglie il rocker con il Mondovisione tour
Il concerto di mercoledì è già tutto esaurito, mentre rimangono gli ultimi biglietti per la seconda data del 12 giugno. E’ già stata montata la struttura in ferro sulla quale verranno collocati i 528 metri quadri dello schermo convesso a 180 gradi. Sul tetto a ventaglio 172 casse acustiche che sprigionano una potenza di 800mila watt. Insomma tutto è pronto per accogliere il Liga a Catania (dovrebbe arrivare giorno 10) per una due giorni di concerto (le uniche date siciliane del suo «Mondovisione tour») che la città sognava da anni ricordando i fasti degli Anni Novanta con l’esibizione dei Rem. Vi proponiamo un’intervista del rocker di Correggio al debutto del tour allo stadio Olimpico Un fiammifero illumina il buio dell’Olimpico dal megaschermo cilindrico a 180 gradi che domina la scena. Si alzano le urla dei sessantamila spettatori dello stadio romano. Che esplodono in un boato quando dai fumi che avvolgono il palco emerge la figura di Ligabue. “Il cerino sfregato nel buio fa più luce di quanto vediamo”, canta il rocker di Correggio, mentre il video lo mostra nel suo look old–fashioned semi–imbiancato, in giacca gessata, jeans e occhiali scuri. E’ Il muro del suono, il nuovo singolo tratto dall’album dei record Mondovisione, ad aprire l’omonimo tour che, dopo i due “sold out” iniziali all’ombra del cupolone di ieri e oggi, l’11 e 12 giugno farà tappa allo stadio Massimino di Catania e il primo settembre sarà trasmesso in prime time da Rai1. Un vecchio oggetto di un tempo perduto accende la notte del Liga. Un passato che nostalgicamente ritornerà a più riprese nel corso dello show. La voce di Totò che lancia I ragazzi sono in giro, la enorme giostra che riempie lo schermo cilindrico di foto d’epoca in bianco e nero in Ho messo via, l’album di famiglia che scorre come una vecchia pellicola fotografica in Per sempre, dedicata al padre, fino alla chiusura di Con la scusa del rock’n’rollcon le immagini del rocker dal volto d’apache con ancora i capelli lunghi e neri. A queste atmosfere vintage, si contrappone un presente pieno di indignazione. “Chi doveva pagare non ha mai pagato”, parole ancora de Il muro del suono che lo schermo proietta a caratteri cubitali. «Perché questa crisi economica è figlia di una crisi mondiale ed i responsabili della crisi non hanno pagato – accusa Ligabue alla vigilia del tour – Ha pagato chi non ha commesso nulla». “La pazienza è finita” si legge più avanti sui graffiti che sporcano il muro sotto un cavalcavia che appare in Siamo chi siamo. Ligabue mette da parte le immagini positive, gli eroi che accompagnavano Buonanotte all’Italianel tour di quattro anni fa. Anche la canzone non è più in scaletta. Mostra, questa volta, il lato oscuro. E la denuncia esplode in Il sale della terra, il momento clou del concerto. Con gli aforismi sul potere che fanno da introduzione. Una galleria di frasi celebri, aperta da Jean Giraudoux («Il privilegio dei potenti è vedere le catastrofi da una terrazza) e conclusa da Indro Montanelli («L’amore per il potere esclude tutti gli altri»). «È un brano in cui l’ironia è molto amara, non sembra quasi ironia, c’è un’indignazione che va oltre questa ironia, nel vedere quanto il potere abbia il potere di corrompere chi si ritrova ad averlo fra le mani e la cui prima paura è sempre quella di perderlo – spiega il rocker – Volevo mettere in piedi una galleria di frasi che facessero riflettere sul senso di quella cosa ed è impressionante quanto quelle frasi, che secondo me sono azzeccatissime, venissero da voci cosi diverse. In mezzo c’è finito anche Jimi Hendrix, ma quella di Montanelli che chiude è proprio di una potenza devastante». E ad accompagnare i suoni duri e potenti de Il sale della terra, lo schermo spara i numeri degli sprechi e degli scandali dell’Italia: 23.2 miliardi di euro i costi della politica nel 2013, 1.1 milione gli italiani che vivono di politica; 4 miliardi il costo della giustizia, 9 milioni i processi pendenti nel 2013. «Sono dati Istat che chiunque trova ovunque, se decidi di metterli su uno schermo vuol dire che ti piace pensare che la gente faccia una riflessione non solo sulle parole ma anche su due dati che hanno a che fare con la difficoltà a far funzionare questo Paese», sottolinea Ligabue disgustato dalla recente campagna elettorale: «Non mi sono piaciuti i toni, però al di là di questo non credo che la gente si sia sentita sotto pressione per la campagna elettorale, piuttosto per motivi economici, per mancanza di lavoro. Possiamo attendere gli sviluppi e sperare che questo Paese esca dal tunnel». E ride ricordando le parole “e poi abbiamo casse di maalox per pettinarci lo stomaco”: «Fui un antesignano» scherza. Frase contenuta in Tra palco e realtàche conclude lo show prima dei rituali bis, tra i quali non può mancare Certe notti. Ligabue chiude anche il Bar Mario, l’album Mondovisione la fa da padrone, «come nel disco, anche nel tour mostro la mia visione del mondo» commenta. Ma non dimentica il ragazzo che sognava il rock’n’roll, tra lambrusco e pop corn, inseguendo Elvis e correndo sull’autostrada urlando contro il cielo. Si rinnova il siparietto con il suo storico manager Claudio Maioli, che, dopo Per sempre, gli serve un caffè vestito da cameriere con scarpe arancione e gli asciuga il sudore sulla fronte, come accadeva nel tour del 1997. Gioca con gli spettatori coinvolgendoli nell’esecuzione del medley composto da Ho perso le parole, Happy hour e Viva. I vecchi cavalli di battaglia vengono eseguiti con un suono più compatto e serrato, «anche perché ci sono una componente in meno, la seconda tastiera, e un nuovo bassista, e le sonorità sono cambiate, direi che in questo tour si ascolta il Ligabue 2.0» evidenzia il rocker. Brani sottolineati dalle immagini nitide e poetiche del megaschermo, come il realistico cuore che batte in Ciò che rimane di noi, «una delle canzoni che preferisco e che parla della percezione del dolore». Canzoni punteggiate dall’enorme palla di luce che sormonta il palchetto a chiusura della passerella al centro dello stadio. Che frulla colori e luci in Balliamo sul mondo, che zampilla candidi fiocchi durante la delicata La neve se ne frega. Si chiude dopo oltre due ore e 27 canzoni, tra cannoni che sparano lingue di fumo sul ritmo di La scusa del rock’n’roll, «che non mi ha cambiato la vita, come per Wim Wenders, però mi ha permesso di viverne una che mi piace molto» sorride il Liga.