«Tre è il numero perfetto – ammette Clementino, nato 33 anni fa ad Avellino – Ho scelto questa formula per dividere lo spettacolo che prevede una parte dedicata al freestyle in dialetto napoletano, una con le ultime canzoni che parlano di problemi sociali come Voce e anima contro la violenza sulle donne, la criminalità come Pianoforte a vela o danno messaggi di speranza come La Luce e O’ vient e una di puro intrattenimento perché credo che un rapper debba essere anche un MC e io che mi chiamo Maccaro Clemente non potevo esimermi».
Un nome, un destino…
«Ho capito di voler fare il rapper vent’anni fa: ho visto il film Pensieri pericolosi con la colonna sonora Gangsta’s Paradise di Coolio. Ho amato la canzone, i murales colorati, i pantaloni larghi. Allora suonavo la chitarra, l’ho messa da parte, ho preso il microfono e ho iniziato a cercare di improvvisare. Ci ho messo un po’ a diventare bravo, ma poi ho cominciato a vincere le gare di freestyle».
Questa divisione in tre atti è anche frutto del tuo amore per il teatro?
«Magari un po’. Sono cresciuto dietro le quinte guardando le prove dei miei genitori, attori amatoriali. Da piccolo imparavo le commedie a memoria, per tre anni ho studiato all’Università dello spettacolo a Napoli e mi sarebbe piaciuto fare l’attore. Ma a Cinecittà aspettavo ore per fare la comparsa in una scena prendendo 100 euro per 24 ore di lavoro, ed ero uno fra i tanti. Nel frattempo la strada da rapper si apriva sempre più e ho messo il sogno del teatro in un cassetto che magari un giorno riaprirò. Finora ho recitato soltanto con Pino Quartullo in Che ora è?».
Ti è piaciuto farlo?
«Mi sono divertito molto, ma non avrei il tempo materiale per imparare i copioni e per fare le prove. Adesso voglio scrivere più canzoni possibili».
Tra queste ce ne sarà una per il prossimo Festival di Sanremo?
«Non nel prossimo futuro».
Qual è stata la reazione dei tuoi amici rapper?
«Sono stato rispettato perché sono stato portatore di un messaggio sociale. Ho cantato l’emigrazione, quella degli italiani che si spostano da casa per necessità. Ora mi piacerebbe approfondire il tema della tecnologia nella società, magari con una riflessione su Pokemon Go».
Chi ospiterai sul palco in quest’unica data siciliana?
«Il rapper catanese Mirko Miro, un amico al di là della musica e forse qualcun altro. Sono anche curioso di suonare a Zafferana, dove non sono mai stato. A Catania, però, ho tanti amici con i quali sono accomunato anche dalla vita sotto a un vulcano e da un gemellaggio calcistico».
Da tifoso del Napoli come hai vissuto l’addio di Higuain?
«Io tifo per la squadra, non per i calciatori che si spostano in nome del business. Per me lo sport è un modo di staccare la spina, ma lo faccio più volentieri con la mia Iena Soccer Academy nel quale cerchiamo di insegnare ai bambini, ancora prima del calcio, il rispetto e l’autodisciplina».
E nel dibattito su Gomorra sì, Gomorra no, come ti schieri?
«Io dico sì, perché sennò dovremmo schierarci anche contro Scarface, Romanzo Criminale e tutti i film di mafia. Chi s’identifica con quei personaggi è un idiota, chi prende la pistola un imbecille. È tutta una questione di educazione ricevuta, non di quello che si vede in tv. Se poi bisogna identificarsi con Napoli meglio scegliere Pulcinella: comico fuori e triste dentro un po’ come me che mi definisco “black pulcinella”».
I rapper ormai sono habitué della tv, qual è il contributo che la tv sta dando alla crescita del rap?
«Il rap continua a crescere coi suoi piedi, sennò non si spiegherebbe il successo di Salmo che in tv non ci va. Spetta a noi veterani educare al vero rap, quello che lancia messaggi e parla di problemi sociali».
Fedez fa parte di questa categoria?
«Non lo so. Nessuno può darti la patente di rapper. Io di certo non farei quella roba là».