Cinema, l’importanza di chiamarsi Anita

Di Melania Scrofani / 21 Dicembre 2020

Nonostante il covid impedisca ogni possibilità di socializzazione o di distrazione con eventi in presenza, durante la breve apertura abbiamo assistito, nei giorni scorsi, alla prima dell’ultimo film di Emma Dante, “Le Sorelle Macaluso” al Cinema Lumiere di Ragusa, preceduto dalla presentazione di una delle protagoniste, Anita Pomario. Classe ’97, nata a Noto, ma praticamente cresciuta a Ragusa, occhi neri che ti incantano e un physique du rôle che difficilmente lascia indifferenti. Come Emma Dante, che era lontana dal cinema da sette anni, Anita inizia e si forma nei teatri, prima in quello ragusano della Compagnia G.o.D.o.T, di Federica Bisegna e Vittorio Bonaccorso, poi la prestigiosa Neighborthood Playhouse di Manhattan, l’accademia di teatro più antica al mondo.

Anita, quali sono le tappe, le esperienze, le persone che in questo percorso ti hanno aiutato a crescere?

E’ estremamente interessante per me vedere come questo mestiere offra ad ognuno un percorso diverso e totalmente unico. Ci sono persone che per talento o “fortuna” si trovano al posto giusto al momento giusto e iniziano a lavorare da subito, altri che invece studiano per anni e vengono “scoperti” in età più avanzata. E’ affascinante e imprevedibile il modo in cui funziona il mondo dello spettacolo; anche se devo dire che nel mio caso lo studio e la perseveranza nel voler sempre cercare di superare i miei limiti mi hanno accompagnata sin da piccola. Ho avuto un percorso piuttosto convenzionale in termini di studio: ho cominciato a 10 anni con la compagnia Godot e a 18 anni ho ricevuto il mio primo no dall’Accademia Silvio D’Amico. Ricordo di esserci rimasta molto male. Quella voglia di riscatto mi ha spinta a puntare più in alto e provare qualcosa di ancora più “difficile”. Per questo ho deciso di fare il provino per un accademia a New York. Senza dubbio quella esperienza in America mi ha cambiata totalmente a livello artistico e soprattutto mi ha aiutata a definire più chiaramente il tipo di teatro che volevo fare. E’ stato li che ho capito che volevo tornare in Europa, che in realtà mi sentivo molto più vicina a un teatro/arte più sperimentale e fisico, piuttosto che al convenzionale metodo americano. Ma l’esperienza a New York mi ha regalato dei momenti che dimenticherò difficilmente, ho avuto l’onore di conoscere mentori e compagni che sono tutt’oggi parte integrante del mio percorso”.

Presentando il film al cinema Lumiere hai parlato della “testardaggine di inseguire questo sogno di diventare attrice”…

«Senza dubbio la mia testardaggine è un elemento che mi ha aiutata tantissimo, se non fossi una vera testa dura probabilmente avrei fatto la metà di quel che ho fatto. Mi piace pensare che l’arte e il teatro in particolare sia un atto di coraggio, e quindi è doveroso che noi attori affrontiamo le nostre scelte artistiche con coraggio. Quando ho fatto il primo provino a New York non parlavo inglese, mi dissero che non ero pronta. La direttrice mi disse di tornare quando avrei saputo parlare meglio la lingua. Aveva ragione. Ero così triste e demotivata, però non volevo tornare in Italia perché dentro di me sapevo di avere una possibilità in quell’accademia. Chiamai mia madre e le dissi che mi sarei trasferita a New York, che volevo lavorare e imparare l’inglese, mia madre cercò di farmi cambiare idea, era spaventata ma alla fine cedette. Il mese dopo, avevo 18 anni, una valigia e non un singolo conoscente a New York. Ho vissuto per le prime due settimane in un Airbnb a Brooklyn senza avere la minima idea di cosa avrei fatto il giorno dopo. Per tre mesi ho spiato le vite degli altri, ero estremamente sola, ma mi sentivo appagata. Quante volte dopo lunghi turni di lavoro al ristorante avrei voluto fare le valigie per tornare a casa, ma non l’ho fatto. Prima che scadesse il visto turistico andai a rifare l’audizione alla Neighborhood Playhouse, la direttrice mi disse che quando lesse il mio nome nell’elenco dei candidati non poteva credere che fossi tornata veramente. Mi guardò negli occhi e mi disse ” sei esattamente il tipo di persona che stiamo cercando, al di là del talento. Benvenuta alla Neighborhood Playhouse school of the theatre!” E’ stato il giorno più felice della mia vita”.

Come è stato l’impatto con una attrice e regista del calibro di Emma Dante?

«Con Emma per me è stato amore a prima vista. Avevo 12 anni la prima volta che ho visto un suo spettacolo: “La Trilogia degli occhiali” al teatro Naselli di Comiso. Andai con i miei genitori e mi ricordo che quando finì mi girai verso mio padre e gli dissi “questo è quello che voglio fare”. Il giorno dopo lui venne da me dicendomi che aveva recuperato la mail di Emma e che avrei dovuto scrivergli una lettera. Scrissi ad Emma una “lettera d’amore”, come la definì mio padre, dove le dicevo che mi sarebbe piaciuto andare ad assistere alle prove dei suoi spettacoli. Non avrei mai potuto immaginare che qualche anno dopo, non solo avrei avuto l’onore di lavorare con lei, ma addirittura di essere parte di un progetto unico e prezioso come Le Sorelle Macaluso. Emma è un’artista umana e senza compromessi, una donna con coraggio e sensibilità da vendere da cui ho imparato un nuovo modo di amare questo mestiere. Mi piacerebbe moltissimo lavorare con lei a teatro, la sua casa”.

Cosa hai vissuto trovandoti a lavorare fianco a fianco con sole donne e tutte di indiscussa bravura?

«Il periodo sul set, sia durante le riprese che prima, è stato magico. Le Sorelle Macaluso pullulava di donne, a parte il cast ed Emma anche le maestranze erano composte per lo più da donne: aiuto regia, sceneggiatrice, costumista e truccatrici, operatrice di macchina e fotografa, tutte donne. Ognuna di noi ha donato alla storia qualcosa di estremamente personale e viscerale. Ci siamo studiate, conosciute, imparate a memoria per poi viverci al massimo durante le riprese. Ognuna di loro mi ha lasciato qualcosa di indelebile, qualcosa di cui essere grata”.

Teatro o cinema?

«Entrambi decisamente! Il teatro è stato l’imprinting iniziale, il cinema sto cominciando a conoscerlo e mi affascina moltissimo. Non deciderei una cosa piuttosto che un’altra, ma mi sono sempre data una “regola” che spero di essere fortunata abbastanza da mantenere: non far parte di progetti a cui non sarei interessata da spettatrice. Non importa la natura del progetto, quanto la sua valenza artistica e la qualità con cui si presenta, vorrei fare cose che mi piacciono, che mi intrigano a livello personale».

Una curiosità, personale o sul film, che non hai ancora svelato ai media.

«Dopo il primo provino per Le Sorelle Macaluso il casting director, Maurilio Mangano, mi disse che secondo lui avevo buone possibilità di farcela. Dopo 5 provinio mi rivelò che Emma non era convinta che fossi quella giusta, qualcosa non la convinceva. Maurilio per provocarla strappò la mia foto e disse “quindi basta, meglio che ci dimentichiamo di Anita”… Emma non era preparata a quella reazione e andò a raccogliere i pezzi della foto dicendo “no, no, no aspetta… Forse non è il caso di dimenticarci di Anita”. E fortunatamente non si sono dimenticati.

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Pubblicato da:
Redazione
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