Bastava un semplice “prossimamente su questo schermo” e l’appuntamento diventava subito imperdibile. Magia di quel breve, rapido e, ciò nonostante, entusiasmante susseguirsi di immagini che anticipavano il quadro completo di un racconto cinematografico che solo il film, nel suo intero, avrebbe poi delineato una volta arrivato nelle sale.
In tutti quei “prossimamente”, antenati di quelli che oggi si chiamano “trailer”, c’era già tutto il fascino ammaliante del cinema. Soprattutto quando le anticipazioni sulle pellicole in uscita passavano solo sul grande schermo prima dell’inizio del film in programmazione. Religioso silenzio, dunque, per momenti irrinunciabili che aprivano una finestra sul “cinema che verrà”, creando quell’attesa e quella curiosità che oggi viene spesso appagata dai tanti passaggi televisivi di trailer e speciali, a loro volta recuperabili in qualunque momento con un clic sul web.
Dai prossimamente ai trailer, dunque. Ed in mezzo un segmento di storia del cinema, ricchissima di creatività e intuizione, aneddoti curiosi e professionisti che hanno fatto dell’artigianato cinematografico una vera e propria arte “breve”. Contribuendo, spesso in modo determinante, al successo di una pellicola e nel tempo anche all’evoluzione del linguaggio visivo che sta alla base del cinema vero e proprio. A volte ripercorrendone le orme, altre volte anticipandone le tendenze.
A questo viaggio è dedicato il documentario “C’era una volta il prossimamente” di Fabio Micolano, presentato a Catania al TrailersFilm Fest dal regista insieme ad uno dei suoi più significativi protagonisti, Miro Grisanti, storico trailerista scelto da registi come Fellini, Visconti e Pasolini e negli anni cimentatosi anche con la commedia italiana per registi come Nuti, la coppia Benigni e Troisi, Verdone e i fratelli Vanzina.
È proprio Grisanti a rappresentare nel documentario l’aspetto non solo tecnico – tra le moviole del suo studio e le immagini dei suoi trailer più famosi – ma anche artistico del mondo del trailer. Lui, che con i suoi 83 anni non smette mai di parlare di sperimentazione, chiamando in causa costante inventiva e fantasia senza nascondere una certa ritrosia per i parametri imposti oggi dai direttori di marketing, troppo concentrati sui numeri a scapito delle idee e della passione. Lui, che ha introdotto le principali innovazioni nel linguaggio del trailer, eliminando alla fine degli anni Sessanta la voce fuori campo e cominciando per primo ad usare gli effetti speciali, soprattutto la grafica sulla scia dei famosi titoli di testa che Saul Bass disegnava per maestri come Otto Preminger (“Anatomia di un omicidio” e “L’uomo dal braccio d’oro”) e Sir Alfred Hitchcock (indimenticabili le sequenze introduttive di “Vertigo”), rievocati nel documentario di Micolano.
Dove trovano posto, tra i frammenti di vecchi prossimamente e trailer più recenti, anche alcuni “avant-trailer” – altra creatura di Grisanti – ovvero brevissimi promo registrati dagli stessi attori per annunciare il film in arrivo. Memorabili quello di Benigni e Troisi seduti ad una scrivania con alle spalle la targa con scritto “A Natale non ci resta che piangere” e quello di Francesco Nuti in smoking che fa apparire e scomparire i nomi dei protagonisti di “Io Chiara e lo Scuro” preannunciando una campagna mediatica immaginaria contro le responsabilità di Hollywood, che con il film non hanno nulla a che vedere.
A fare da cornice alle belle immagini e al ricco materiale di repertorio selezionati da Micolano in quattro anni di ricerche, “sbobinando” pellicole come “Corri uomo corri” di Sergio Sollima, “Queimada” di Gillo Pontecorvo e “Giù la testa” di Sergio Leone, “Porcile” di Pier Paolo Pasolini e “Roma” di Federico Fellini fino a “Natale sul Nilo” di Neri Parenti, tante interviste a critici cinematografici tra cui Mario Sesti, Steve Della Casa, Marco Giusti e Tatti Sanguineti, ai quali sono affidati l’excursus storico e l’analisi dell’evoluzione del linguaggio del trailer. E soprattutto le interviste a tanti registi italiani, da Ettore Scola ad Alessandro D’Alatri, da Carlo Verdone a Pupi Avati, da Maurizio Nichetti a Paolo Virzì e Giuseppe Tornatore, che nella loro carriera hanno necessariamente dovuto fare i conti con queste preziose sintesi d’autore, affidando ai trailer il primo inevitabile contatto con il pubblico dei loro film. Del resto – come raccontano i Vanzina – la consegna del trailer da parte del trailerista è la prima vera prova di ciò che si capisce e che colpisce vedendo il film, la vera prova prima di affrontare gli spettatori.
Il documentario di Micolano – impreziosito dalle animazioni di Federica Grigoletto e dal montaggio di Marco Massaccesi – racconta anche questo. Il rapporto di amore e odio tra regista e trailerista, che è anche un rapporto di fiducia, come spiegano Verdone e Virzì, perché sebbene il trailer debba trovare una propria identità, autonoma rispetto al film, deve comunque restarne fedele agli umori, senza tradirne spirito e anima. Nel massimo rispetto dell’autore e anche dello spettatore che non va deluso, come sottolinea Avati parlando di onestà e correttezza nei confronti di chi paga il biglietto, trovando concorde anche Tornatore – memoria storica del nostro cinema, trailer compreso – che contrappone alla “licenza d’uccidere del trailerista” la saggezza del produttore esecutivo per evitare di suscitare insofferenza nel pubblico e provocare così l’insuccesso commerciale del film.
Altrimenti si corre il rischio di sentirsi chiedere il rimborso del biglietto, come accadde a Miro Grisanti tanti anni fa quando un amico gli chiese conto e ragione del fatto che dal trailer di “Ratataplan” non aveva capito che il film di Maurizio Nichetti fosse muto.
Piccoli inganni, abili trucchi, giochi da maestro che possono anche decidere le sorti di un film. Bello o brutto che sia.