Catania, “Via Etnea” in 174 pagine: la storia lunga 300 anni della via “anima” della città
Coinvolgente e commovente il libro scritto dal catanese Antonio Grasso
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Si susseguono le memorie di Catania «che più va e più bella addiventa», diceva Turi Ferro. Raramente leggo libri perché già ogni giorno leggo tanto: la mazzetta dei giornali e le notizie di agenzia che arrivano dal mondo sul mio computer. Ma questo libro mi commuove per un motivo molto semplice: parla di Catania, del suo passato, dei suoi tormenti e delle sue glorie con una tale massa di dettagli a me sconosciuti da farmi rendere conto di quanto sia grande la mia ignoranza nei confronti della città in cui sono nato tanti anni fa. Il libro di cui parlo si intitola semplicemente “Via Etnea” ed è stato scritto da Antonio Grasso (EA Editore Palermo), un catanese dirigente della Regione che è stato direttore dell’assessorato Beni culturali e che vive sognando di tornare nella sua città. Io non lo so che cosa mi abbia preso leggendo il libro, più avanzavo nella lettura e più mi vergognavo di non sapere tante cose della mia città, dei palazzi di via Etnea, dei grandi personaggi che ci sono passati, della grande distruzione del terremoto del 1693. Eppure in via Etnea ci ho passeggiato dai 16 ai 25 anni senza sapere nulla nella mia incosciente giovinezza. Questa di via Etnea è una storia lunga trecento anni, che lentamente è sedimentata, mutata nel suo aspetto, fulcro della città di Catania, capitale letteraria d’Italia a fine Ottocento. Via Etnea non è una strada, ma un teatro all’aperto nella città più teatrale d’Italia. Almeno così era. E le basole della «strata ritta» al posto dei cubetti di porfido che saltavano ad ogni pioggia le ha fatte rimettere questo giornale con un nostro articolo al tempo della sindacatura Scapagnini. In una lapide in via Di Sangiuliano è scritto qualcosa che fa commuovere: «Ferma le piante, e leggi o passeggiero. A. 9 gennaio 1693 trema Catania a scosse di fiero terremoto, e replicando al. 11 del medesimo con tutte le sue grandezze, con 16mila catanesi sepolti da sassi, derelitta da vivi, derubata da ladri, rimane in simil fatto a fuggir le mura a ri courarti ne i campi, a custodir la città questo marmo ti insegni, cossì viverai. Anno Domini 1697». Che struggimento pensare ai 16mila «sepolti da sassi» e ai sopravvissuti. E poi le memorie di vicerè, di principi, di Vincenzo Bellini e di Giovanni Verga, di Micio Tempio e di Brancati. Una Catania che non c’è più, una via Etnea diversa, ma continua uno spirito di filiazione verso di essa che non s’è mai spento, anche se non sapevi di averlo. Ricordo con nostalgia le passeggiate notturne all’uscita dal giornale, le mangiate di gelsi neri o di fichidindia presso il carrettino posizionato in piazza Giovanni Verga. Gran parte della mia vita è rimasta lì, legata al vecchio giornale di via Madonna del Rosario, anche se sono stato inviato dappertutto, terremoti, stragi, terrorismo, mafia e persino la prima Guerra del Golfo del 1990, ma tutto questo è stato solo una serie di parentesi, una voglia di correre nel mondo, ma non era la mia terra, non era la mia città, dove tornavo sempre, a odorare i suoi profumi, a farmi accarezzare dal sole tiepido anche d’inverno. Quando ho avuto periodi tristi andavo alla caletta di Ognina a vedere le barche che si dondolavano, i gabbiani che svolazzavano e l’Etna per fondale. Amo questa terra che non mi chiede nulla e che un giorno, il più lontano possibile, dovrò lasciare. E’ un libro incommentabile perché non puoi commentare la storia di una strada che è l’anima della città, le quattro chiese di via Crociferi, Porta Uzeda o Porta Garibaldi. Riporto un passaggio: «Nel 1867 l’architetto Tito Angelini realizzò la fontana dell’Amenano, con vasca dal bordo bombato: l’acqua tracima con un effetto a cascata e si riversa nell’Amenano che scorre a due metri sotto la piazza. L’effetto a cascata viene detto “acqua o linzolu”. Alle spalle della fontana si apre l’antico mercato della pescheria. Una volta l’acqua dell’Amenano, essendo molto bassa, serviva ad abbeverare asini e cavalli che sembravano bere acqua di mare». Il salto di qualità a Catania si ha nel 1730 quando venne fatto venire da Palermo il Vaccarini, che ebbe il ruolo di architetto della città e che nel 1737 inaugura la fontana dell’Elefante: elefante che ha sul dorso l’obelisco proveniente da Sione, città egizia ai confini dell’Etiopia. C’è tanta storia misconosciuta in queste pagine. E tanta nostalgia.