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Catania, «Teatro Stabile in salvo, ma da consolidare»

Di Ombretta Grasso |

Catania – I sogni lo vogliono Stabile, la realtà lo rende instabile. Fragile e prezioso, basta un soffio a mandarlo in frantumi. Uscito con fatica dalla crisi che lo portò alla chiusura e al commissariamento, il Teatro Stabile di Catania è gravato dai 14 milioni di “buco”, spalmati in 350 mila euro da pagare ogni anno. «Un debito pauroso rispetto al nostro bilancio, che occupa gran parte delle nostre energie: un salto mortale ogni volta», dice Carlo Saggio, notaio ed ex presidente di Compagnia delle opere della Sicilia orientale, designato dalla Città metropolitana alla presidenza del Consiglio d’amministrazione, l’organo che guida l’ente catanese, in scadenza questo mese, composto anche dalla vicepresidente Lina Scalisi (nominata dal Comune), da Fabio Roccuzzo e Loredana Lauretta (nominati dalla Regione) e da Raffaele Marcoccio (rappresentante dell’Ente Teatro di Sicilia). Un Cda che ha traghettato in salvo lo Stabile.

«Il commissario Pace aveva avviato il percorso di risanamento, ma il Teatro era in una situazione molto difficile. In buona fede e con molti errori qualche cosa l’abbiamo fatta», nicchia Saggio. «Abbiamo messo ordine portando un po’ di sana cultura di impresa: non spendere più di quello che hai e tenere presente tutti i fattori della produzione. Abbiamo ricostruito la credibilità del Teatro in debito con lavoratori, attori, compagnie. Non era scontato che il piano di risanamento fosse approvato. Grazie alla partecipazione della società civile siamo riusciti a ristrutturarlo». Un esempio? «I lavori del foyer e della facciata. Le imprese hanno lavorato a costo minimo, abbiamo trovato risorse interne, la città si è dimostrata sensibile». E il pubblico? «E’ bastato ridestarne l’attenzione e l’amore per avere il Teatro pieno. Sono state fatte scelte più o meno condivisibili, ma frutto delle risorse che avevamo. Tra i primi passi la nomina del direttore, Laura Sicignano che aveva il migliore profilo per noi, volevamo qualcuno che venisse dalla frontiera».

Polemiche sui titoli della stagione e sugli attori non sono mancate. «C’è stato un buon coinvolgimento di maestranze, interpreti, registi locali. Si può fare di meglio? Sempre. Ma certo non sono stati chiamati attori da Trento. L’attenzione ai lavoratori locali c’è stata». La difficoltà maggiore? «Far capire che il cambiamento era possibile». La politica? «Mai ricevuto pressioni né richieste. Gli enti ci hanno sostenuto, sono stati vicini nei momenti più difficili». Il Cda scadrà in questo mese. Cosa accadrà? «Vorremo presentare un bilancio di quello che abbiamo fatto e di quello che resta da fare. Sono fautore del ricambio, chi arriva porta idee nuove ed entusiasmo».

E’ uno Stabile ancora “instabile”. «Da consolidare. Per uscire da questa fragilità i 350 mila euro da pagare ogni anno sono un peso enorme. I fondi del Ministero e della Regione sono erogati per i lavoratori e gli spettacoli. Comune e Città metropolitana, con grandi sforzi, hanno pagato l’arretrato. Non basta. Non possiamo farci anticipare somme dalle banche. I debiti si devono pagare e abbiamo dimostrato che è possibile farlo, ma se questo peso si alleggerisse, magari raddoppiando il numero di rate nel tempo, potremmo reperire le risorse con più facilità. Tanti sono ancora i problemi strutturali: non abbiamo un magazzino, non è stato possibile far ripartire la scuola, non abbiamo una seconda sala…». «Quando ci siamo insediati le poltrone del teatro erano pignorate – racconta la vicepresidente Lina Scalisi, ordinario di Storia moderna all’Università di Catania – E’ stato un impatto molto forte. La ristrutturazione all’interno e verso l’esterno è stata la prima preoccupazione», prosegue. «Era necessario ristabilire un clima di fiducia tra i lavoratori e ricucire rapporti culturali. Lo Stabile ha sempre avuto un fortissimo peso nella città ma gli ultimi anni avevano disaffezionato il pubblico, irrigidito le reti. Volevamo togliere, l’opacità, la negatività che si erano creati intorno al Teatro. Dal mio punto di vista, ho cercato di ripristinare i collegamenti con il mondo della formazione, di inaugurare nuovi rapporti, con le scuole della città e della provincia, abbiamo realizzato una convenzione con l’università. Creare uno zoccolo duro di spettatori giovani. Abbiamo costruito un’attenzione sui social media, accompagnato le iniziative con tutor del teatro, lanciato laboratori per i docenti. Un intenso lavoro con i dipartimenti di Economia, Scienze della Formazione, Scienze politiche e Scienze umanistiche ha portato studi, tesi di dottorato, tanti progetti culturali. Lo Stabile ha ricominciato a “fare rete” – spiega la vicepresidnte – La pandemia purtroppo ha fermato, tante iniziative, in particolare uno sulla disabilità che avrebbe portato Catania ad essere capitale dell’educazione a una diversa cittadinanza. Seppur il Covid ha spinto a creare nuovi linguaggi, a sperimentare nuove tecniche al fianco della programmazione tradizionale».

Tra le iniziative realizzate “Totalitarismi. Le parole del Potere”, un ciclo di incontri – anche videoconferenze – su Hitler, Stalin e Mao con gli storici Anna Foa, Peppino Ortoleva e il docente di Storia dello spettacolo, Fernando Gioviale, accompagnate da letture di attori. «Una Public History» riprende la Scalisi. Che sottolinea il lavoro «al servizio della collettività»: «Abbiamo cercato di recuperare la memoria, non per celebrare il passato ma per ritrovare l’identità. Questo enorme patrimonio di fonti, di bozzetti, foto, costumi il cui recupero non è così scontato e la perdita è irreparabile». Lo Stabile, che ha bisogno di un palcoscenico «certo e definito anche per l’estate», «è diventato uno spazio multiforme in cui si alternano mostre, incontri, letture, laboratori. Un luogo dove si può soddisfare la richiesta di generazioni diverse, così che sempre più il Teatro di Catania sia simbolo della città».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA