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Cap Bon-Marsala, ecco la rotta segreta degli jihadisti che passa dalla Sicilia
PALERMO – Cape Bon-Marsala in tre ore. Un viaggio confortevole e rapido su gommoni superveloci. Piccoli gruppi di dieci migranti che, arrivati sulle coste siciliane, venivano prelevati e portati in abitazioni dove potevano rifocillarsi, lavarsi e avere vestiti nuovi. Sembra quasi la descrizione dei servizi forniti da un’agenzia di viaggi e invece, dietro la traversata del Canale di Sicilia c’era un’organizzazione criminale. Al vertice cittadini tunisini che usavano manovalanza locale: marsalesi e fiorentini. In 12 sono stati fermati dalla Guardia di Finanza su disposizione della Procura di Palermo. Due erano già detenuti e tre sono irreperibili. Il viaggio costava caro: fino a 3 mila euro a passeggero. Ma era sicuro. Nulla di paragonabile ai barconi fatiscenti usati solitamente dai migranti e dai trafficanti di uomini che seguono la rotta verso l’Italia. E chi arrivava, eludendo i controlli a cui vengono sottoposti i migranti irregolari, evitava di essere identificato. Circostanza che, insieme ad alcune intercettazioni, fa dire agli inquirenti che tra i potenziali “clienti” dell’organizzazione c’erano ricercati per problemi con la giustizia o persone collegate a gruppi jihadisti che temevano di essere arrestati, una volta giunti in Italia. «Spero di arrivare e che non mi rimandino indietro per terrorismo», diceva a uno della banda un potenziale passeggero. Il trafficante era intercettato e la Finanza ha potuto ascoltare in diretta la conversazione. Il viaggio, però, non è mai stato fatto e l’interlocutore allarmato è rimasto nel Paese nordafricano.
L’associazione criminale usava gommoni potentissimi che caricava anche di sigarette di contrabbando riuscendo così a guadagnare a volte decine di migliaia di euro. Solo l’addetto al trasporto, lo scafista per intenderci, per ogni traversata, intascava fino a 5 mila euro. Da gennaio, mese in cui inizia l’indagine, a oggi sono 5 i viaggi accertati: i passeggeri sono stati tutti identificati e nessuno di loro avrebbe avuto legami con gruppi jihadisti. Per i pm che hanno coordinato l’inchiesta, per le sue modalità operative, la banda costituiva «un pericolo per la sicurezza nazionale».
La mente dell’organizzazione era Jabranne Ben Cheikh, tunisino, poteva contare sulla complicità della compagna italiana, Simona Sodi. Gli inquirenti hanno sottolineato anche la grossa capacità di riciclare i soldi sporchi guadagnati con i viaggi dimostrata dalla banda. Attraverso Hamadi El Gharib, tunisino con regolare permesso di soggiorno, il denaro veniva reinvestito. Ai fermati, accusati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la Procura contesta l’aggravante della transnazionalità. Ogni membro della banda, poi, aveva un ruolo ben preciso occupandosi, a seconda dei casi, delle «prenotazioni» dei migranti interessati alla traversata e della raccolta degli importi dovuti per il viaggio, della movimentazione e della custodia del contante, di trovare i gommoni, della loro conduzione in mare e, infine, del primo collocamento dei passeggeri in luoghi a disponibilità dell’organizzazione.
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Grazie alla stretta cooperazione tra gli investigatori e la componente aeronavale della Guardia di finanza (Gruppo di esplorazione aeromarittima di Messina e Reparto operativo aeronavale di Palermo), è stato possibile monitorare in “diretta» alcuni sbarchi sulle coste trapanesi, riuscendo ad intercettare 14 migranti arrivati e a sequestrare oltre un quintale di sigarette di contrabbando. La banda aveva programmato altri viaggi, non andati a buon fine. Se portati a termine avrebbero portato nelle casse dell’associazione criminale oltre 100 mila euro.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA