PALERMO – Per un caso di omonimia un cittadino bengalese, Mohamed Salim, è stato arrestato ed è finito sotto processo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, reato punito con il carcere fino a 15 anni.
Accortosi del clamoroso errore, il suo legale ha dimostrato che Salim con la vicenda non c’entrava nulla. L’imputato, al termine di un caso giudiziario cominciato nel 2004, è stato assolto. L’inchiesta parte dall’intercettazione di un cittadino albanese, anche lui col nome di Mohamed Salim, che faceva parte di un’organizzazione che procurava falsi documenti e assunzioni a migranti irregolari. Gli investigatori – a coordinare le indagini fu l’ex pm Antonio Ingroia – trovarono Salim: solo che non si trattava dell’albanese intercettato, bensì l’omonimo bengalese.
E in comune i due avevano solo il nome. L’albanese parla l’italiano, il bengalese no. La residenza dei due è diversa. Lo stato di famiglia pure. In più, il Salim estraneo ai fatti è dializzato e difficilmente avrebbe potuto fare su e giù dai Balcani come risultava dalle indagini.
Nonostante tutto, però, il Salim bengalese viene arrestato, poi finisce ai domiciliari ed è rinviato a giudizio. Il tutto con un annullamento del decreto di citazione a giudizio per genericità del capo di imputazione.
Il legale dell’imputato riesce però a dimostrare l’errore. E oggi, su concorde richiesta del pm che nel frattempo è cambiato – in aula c’era Carlo Lenzi – Salim viene assolto dai giudici della terza sezione del tribunale.
«Abbiamo intenzione di fare istanza di risarcimento del danno per ingiusta detenzione. Il mio cliente è stato danneggiato enormemente da questa incredibile vicenda», ha detto l’avvocato Giuliana Vitello, legale di Mohamed Salim.
«Ho tentato più volte di far rilevare l’errore – ha spiegato – Fin dall’udienza preliminare, ma senza successo».
Salim, peraltro, a causa del procedimento penale subito non ha potuto ottenere il permesso di soggiorno. Ora vive a Monza grazie all’aiuto del fratello, ed è senza lavoro.