Azzurri, presi a pedate e presi a morsi
Azzurri, presi a pedate e presi a morsi
Semplicemente presi a pedate. E a morsi. Ma se i morsi possono anche far rabbia ed autorizzare qualche marginale recriminazione, le pedate sono quelle lecite del calcio, quelle di squadre che, a prescindere dagli arbitraggi, hanno giocato meglio di questa piccola Italia, hanno corso più di questo gruppo brutto, impacciato, confuso. Eravamo andati anche a questi Mondiali con la consueta presunzione di chi è sempre convinto che, tanto, anche modesti progetti tecnici possono essere convertiti dalla buona sorte e da qualche colpo di genio che, all’improvviso, faccia spuntare qualche fiore nel deserto. Presunzione tutta italiana, per la verità avvalorata, però, anche da certi clamorosi successi, nemmeno lontani nel tempo. In fondo non pare di ricordare che la Nazionale campione in Germania avesse brillato prima di essere spinta faticosamente agli ottavi, mentre il secondo posto agli Europei era stato segnato due anni fa da quel 4-0 in finale che aveva marcato la differenza tra noi e la Spagna. Stavolta no, non s’è cavato nulla, né con tenacia, né con fortuna, né per caso da quel progetto tecnico firmato da Cesare Prandelli che non può essere naufragato esclusivamente per il doloroso ed inatteso forfait di un giocatore, Montolivo. Più verosimilmente la seconda eliminazione consecutiva ai Mondiali, dopo quella in Sud Africa, è la conferma che quel progetto sapeva un po’ di muffa, con reduci di troppe battaglie, e un po’ troppo di latte in polvere con una banda di ragazzini un po’ immaturi, un po’ grezzi, un po’ troppo sopravvalutati. Ma, forse, quel che un campionato sempre più modesto come quello italiano oggi poteva offrire alla Nazionale era quell’odore di muffa e quel sapore di biberon. Nulla di più e di meglio consolidato, niente che facesse pensare ad una squadra seriamente capace di essere concentrata, determinata, sveglia, in grado di coniugare classe e dinamismo, volontà e maturità. Senza dietrologie comode e senza abusare del senno del poi, essersi portati di peso gente come Balotelli e Cassano, avere tollerato un Chiellini che ancora si lamenta per il morso di Suarez, mentre è pluri punito in Italia per altre scorrettezze a tradimento, tutto questo è la fotografia di una crisi che è un autentico fallimento. E infatti si sono dimessi tutti, da Abete a Prandelli. Il minimo, dopo una serie di errori di progetto, di convocazioni sbagliate, di formazioni accroccate e con una squadra che in tre partite ha fatto ridere. O piangere, forse è meglio dire piangere.