CATANIA – «Lo stato della giustizia civile nel distretto segnala persistenti difficoltà, ma evidenzia, al tempo stesso, un recupero di efficienza della giurisdizione, ed in particolare una riduzione dei tempi dei processi». Così il presidente della Corte d’Appello di Catania, Giuseppe Meliadò, all’inaugurazione dell’anno giudiziario del Distretto.
«Quest’anno vanno registrati gli ottimi risultati della Corte di appello che, con una sopravvenienza maggiore ma grazie alla produttività dei suoi consiglieri – aggiunge Meliadò – è riuscita a ridurre la pendenza dei procedimenti contenziosi e camerali di un ulteriore 7,68% (e addirittura del 14,63 % per quelli di lavoro e di previdenza) e soprattutto è riuscita a ridurre le pendenze ultrabiennali (quelle che eccedono il termine di durata ragionevole, secondo gli standard europei) del 44%, a fronte di una iniziale previsione del 22%. Più in particolare, la I sezione civile ha ridotto, nel 2016, del 29% le cause ultrabiennali, la II sezione civile ha ridotto, nel 2016, del 37% le pendenze ultrabiennali e si propone quale obiettivo per il 2017 la definizione di tutte le cause iscritte nel 2013 e 1/3 di quelle iscritte nel 2014».
Inoltre, rileva il presidente della Corte d’appello di Catania – la sezione lavoro ha ridotto, nel 2016, del 57% le pendenze ultrabiennali e si propone quale obiettivo per il 2017 la definizione di tutte le cause iscritte sino al 2014 (che equivale alla riduzione dell’87% di tutte le pendenze ultrabiennali); la sezione persona e minorenni ha ridotto del 55% le pendenze ultrabiennali e – annuncia Meliadò – si propone quale obiettivo per il 2017 l’azzeramento di tutte le pendenze che eccedono l’anno».
«Una nuova frontiera della giustizia civile è rappresentata dall’immigrazione. Vi è il pericolo di considerarlo come un contenzioso di massa, se non di serie B, ma, l’immigrazione non è solo una emergenza processuale e organizzativa, ma pone anche un problema di tutela dei diritti». Così il presidente della Corte d’Appello di Catania, Giuseppe Meliadò all’inaugurazione dell’anno giudiziario. «Il problema è eminentemente sociale e politico, ma diviene giuridico, e non può essere diversamente – sottolinea il presidente Meliadò – allorché si tratti della tutela delle persone. I magistrati catanesi hanno cercato di dare a questi temi una risposta non solo in termini di quantità, seppur nei limiti in cui una risposta di qualità sia compatibile con la legge dei grandi numeri: 5.855 procedimenti iscritti, 750 decisi in sei mesi. In Tribunale – aggiunge – si è attivato il progetto Migrantes, primo in Italia; si sono sperimentate in appello prassi virtuose volte a monitorare e ad aggiornare in tempo reale le criticità presenti nei paesi di provenienza dei migranti; specifici gruppi di lavoro per i minorenni non accompagnati sono stati costituiti, col consueto attivismo, dal Presidente del Tribunale per i minorenni».
«Mi chiedo tuttavia se, per rendere effettivi i diritti dei migranti – osserva il presidente della Corte d’appello di Catania – siano necessari tre gradi di giudizio, laddove la vera effettività dei diritti risiede innanzi tutto nei tempi necessari per attuarli. E’ un nodo che prima o dopo bisognerà sciogliere».
Una “filosofia organizzativa” essenzialmente incentrata sulla verifica dei risultati conseguibili per realizzare qualche miglioramento dell’apparato giudiziario anche in presenza di risorse scarse e non facilmente accrescibili e un’interlocuzione istituzionale interna ed esterna che è risultata necessaria per consentire la predisposizione di risorse, materiali e professionali, adeguate ai bisogni che l’esercizio dell’attività giudiziaria manifesta in una realtà particolarmente complessa. Sono due dei punti cardine dell’organizzazione giudiziaria a Catania messa in atto dal presidente della Corte d’Appello, Giuseppe Meliadò.
«Ad un anno dal mio insediamento – ha continuato Meliadò – ho cercato di non operare alcun stravolgimento dei modelli operativi in concreto sperimentati nella realtà della Corte di appello e, per quanto di mia competenza, nel distretto e di integrare, in questa prima fase, tali modelli nei limiti in cui un pur limitato, ma deciso, miglioramento organizzativo può contribuire a risolvere il problema della durata del processo civile e penale che emerge dall’analisi del contenzioso. I primi risultati conseguiti mi sembrano incoraggianti».
«Per quanto riguarda lo stato della giustizia penale, l’esame della tipologia dei reati oggetto di indagine conferma, tuttavia, in termini di cifre assolute una radicata presenza, nel nostro territorio, di fatti criminali ricollegabili all’attività della delinquenza comune e organizzata, così come l’emergere imponente di nuove problematiche criminali connesse, in particolare, ai fenomeni migratori e ai pericoli del terrorismo». Lo ha detto il presidente della Corte d’Appello, Giuseppe Meliadò, all’inaugurazione dell’Anno giudiziario. «Sempre rilevante è, in particolare – ha osservato il presidente Meliadò – il numero dei procedimenti riguardanti fatti di criminalità organizzata, sebbene i fatti di sangue maturati in tale contesto siano di gran lunga inferiori rispetto a quelli del passato; nonostante il numero dei processi per estorsione sia costante, si registra, invece, per come segnala il Procuratore della Repubblica, un numero ridotto di denunce presentate dalle vittime di tali reati; non di rado anzi costoro, a fronte di un quadro probatorio plurimo ed univoco circa la sussistenza della fattispecie estorsiva, negano ripetutamente l’esistenza del reato. Per i reati in materia di stupefacenti – ha sottolineato il magistrato nella sua relazione – il numero dei reati, sia in forma associativa sia come singoli episodi di detenzione o spaccio, è in costante incremento, tanto da costituire una delle tipologie di reati che più di ogni altra appesantisce i ruoli di udienza; in alcune zone della città sono ormai radicate le «piazze di spaccio», che costituiscono veri e propri supermercati dello spaccio. Sensibilmente aumentati – ha rilevato infine – sono i reati per episodi violenti maturati in ambito familiare, e comunque al di fuori dei contesti di criminalità organizzata; in aumento anche i reati a sfondo sessuale».
«Sono costanti nel tempo i reati contro la pubblica amministrazione e sono state avviate importanti indagini in tutte le Procure del distretto, anche se, soprattutto con riferimento a tali reati, stante i ridotti termini di prescrizione, l’obiettivo della sentenza definitiva nel merito si presenta spesso a rischio».
«Rischio da evitare – ha sottolineato il presidente Meliadò – non solo per i legittimi effetti di disappunto che produce nell’opinione pubblica il mancato perseguimento di tali reati, ma pure per la rilevanza che gli stessi assumono per i valori fondanti dell’interesse pubblico e generale. In aumento anche i reati di usura, in particolar modo l’”usura da strada», ovvero prestiti ad usura per somme di modesto importo; in diminuzione, per come si è detto, ma sempre rilevante il numero delle rapine e dei furti, anche all’interno di case private».
«Per quanto riguarda il contenzioso del lavoro grazie all’eccezionale impegno e alla sensibilità sociale dei giudici addetti a questa sezione, che gravati mediamente di un ruolo individuale di circa tremila cause, hanno definito 10.608 procedimenti, si è realizzata una significativa riduzione delle pendenze (9,76%)».
«Sono 18.930 procedimenti – ha aggiunto il magistrato – numeri che testimoniano in modo eloquente gli effetti della crisi economica nell’area meridionale, la prassi diffusa del lavoro nero e irregolare, gli effetti del precariato, pubblico e privato, e paradossalmente anche la crescente conflittualità nel pubblico impiego contrattualizzato, originata anche da un fraintendimento: che la privatizzazione non ha riguardato in nessun caso la posizione del datore di lavoro pubblico, che resta pur sempre una pubblica amministrazione, tenuta al rispetto dei canoni di legalità, buon andamento ed imparzialità. In questo contesto, l’assoluta inadeguatezza dell’organico della sezione lavoro – ha sottolineato il presidente Meliadò – costituisce ormai un caso nazionale e ha formato oggetto di reiterata denuncia da parte del Presidente del Tribunale anche alla stampa, tenuto conto del rapporto del tutto sperequato che, a parità di sopravvenienze, presenta il Tribunale del lavoro di Catania rispetto ad altre sedi giudiziarie, pur ritenute massimamente virtuose ad iniziare dal pluricitato Tribunale di Milano».
«Con il passare degli anni è sempre più stanca e rituale la disastrosa situazione logistica degli uffici giudiziari catanesi, insufficienti nelle strutture e dispersi nel territorio e delle conseguenze pesantemente negative che ne sono derivate negli anni per il regolare e dignitoso esercizio della giurisdizione e per una seria prospettiva di miglioramento del servizio al cittadino, nonostante le spese di gestione annualmente sostenute, fra le più alte in Italia».
«Il nodo problematico è stato da sempre – ha ricordato il presidente Meliadò – quello della mancata utilizzazione dell’importante plesso di viale Africa. La sottoscrizione, nel giugno scorso, alla presenza del ministro della Giustizia, del protocollo di intesa per la riqualificazione del plesso di viale Africa e la firma, nel successivo mese di dicembre, del relativo accordo attuativo hanno posto le basi, in meno di un anno, anche grazie ad una proficua intesa fra la magistratura e l’avvocatura del distretto, per la migliore soluzione di un problema che appare decisivo e determinante per razionalizzare e modernizzare la gestione dell’attività giudiziaria nel distretto. Ora bisognerà monitorare i tempi, ma sono certo – ha osservato il presidente della Corte d’appello di Catania – di poter fare affidamento, oltre che sull’impegno da sempre profuso dal sindaco di Catania e dall’assessore delle Infrastrutture della Regione Siciliana, sulla competenza e sullo spirito di servizio delle strutture territoriali incaricate dell’attuazione del progetto».