PALERMO – A due giorni dal 28° anniversario della strage di Capaci si susseguono i momenti di riflessione per ricordare le vittime dell’attentato in cui il 23 maggio ’92 morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Quest’anno sarà una commemorazione diversa rispetto agli anni passati a causa delle restrizioni per il Covid-19 con più spazi virtuali, senza piazze e cortei, ma con i balconi pieni di lenzuoli bianchi e tante persone affacciate. «La strage di Capaci, insieme all’attentato di via D’Amelio contro Paolo Borsellino e la scorta, ha rappresentato uno dei momenti di massima violenza eversiva dell’attacco della mafia allo Stato», ha ricordato al plenum del Csm il vicepresidente David Ermini nel suo intervento all’apertura dei lavori.
Per Ermini, «Falcone ha dato la sua vita per un paese migliore. Con il suo eroico sacrificio ha dato il coraggio alla società civile, non solo siciliana, di reagire e mobilitare coscienze ed energie a favore di una cultura della legalità. Con il suo sacrificio ha dato l’impulso alle istituzioni, alla magistratura e alle forze dell’ordine per contrastare con interventi ancora più decisi mafie e criminalità organizzata. La sua eredità è per tutti noi cittadini un patrimonio inestimabile, il suo insegnamento è che la mafia può e deve essere sconfitta».
Gli ha fatto eco il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi nel suo intervento al Csm «Giovanni Falcone è presente nella vita di ognuno di noi». «La procura generale quest’anno – ha aggiunto il Pg – partecipa con la pubblicazione sul sito della Procura generale di immagini evocative dei ricordi. Sarà il nostro lenzuolo bianco».
E bisogna anche ricordare, in questa vigilia, la solitudine e l’isolamento in cui fu lasciato quando era in vita quello che viene considerato oggi come uno dei simboli della lotta a Cosa nostra. Ha sottolineato il consigliere Nino Di Matteo, ex pm antimafia: «Memoria significa anche conoscenza e consapevolezza di un dato di fatto incontestabile: Falcone, prima di essere ucciso dal tritolo mafioso, venne più volte delegittimato, umiliato e così di fatto isolato anche da una parte rilevante della Magistratura e del Consiglio Superiore. E questo in ragione non solo di meschini sentimenti di invidia ma, ancor di più, di patologiche trame di potere connesse a fenomeni ancora attuali di collateralismo politico e di evidente degenerazione del sistema correntizio».
«Dobbiamo essere coerenti e non ipocriti ricordando Falcone. Quella di Giovanni Falcone fu una storia di solitudine, di sconfitte, di tradimenti subiti dentro e fuori la magistratura. Dovette difendersi dal Csm. Venne isolato, calunniato, accusato di costruire teoremi, mentre svelava i rapporti tra cosa nostra ed il potere», ha ricordato il consigliere del Csm Sebastiano Ardita.
«C’è la delusione di un’antimafia che accresce la sua amarezza. Ne trova conferma anche nella corruzione dilagante anche tra i paladini dell’antimafia di cui trova sponda negli arresti di dirigenti della sanità siciliana accusati di intascare tangenti. Ha osservato don Luigi Ciotti in un intervento sui social. «La parola legalità – ha detto – è ormai abusata. Preferisco parlare di responsabilità».