(22 dicembre 2016) Accostarsi all’Etna impone una scelta di fondo: vedere il vulcano, o vedere la “montagna”. La seconda scelta guarda oltre il pozzo da cui si osserva il centro della terra e svela un mondo che non tutti riescono a cogliere. Un modo di percepire l’Etna che attraversa le generazioni: che siano quelle che hanno ancora negli occhi la lava del 1950, o i ragazzini che dichiarano il proprio amore alla “colonna del cielo” postando le foto delle fontane di lava sui social. Una magnetica attrazione fatta di sensazioni che contemplano la necessità di toccare il gigante portando i propri passi sul suo suolo arido, di respirare l’odore acre della lava che avanza, di immalinconirsi osservando l’infinito dai costoni della Valle del Bove, di sciare guardando insieme il mare e i globi di fumo nero e denso che si levano dai sommitali.
La copertina del libro
A questi “malati” di Etna sembra dedicato Etna patrimonio dell’umanità, manuale raccontato di vulcanologia e itinerari (Giuseppe Maimone Editore, 93 pagine, 13 euro) di Salvo Caffo e Sergio Mangiameli, illustrato da Riccardo La Spina. Si tratta di una guida, scritta come un romanzo, che racconta l’Etna mediante una visita a piedi e in bici di due ragazzi, Vulc e Geo, e che ne svela i luoghi più significativi. La parte finale racchiude anche una selezione di itinerari ed alcune notizie scientifiche, aggiornate al 2016, incluso lo schema stratigrafico frutto delle ultime ricerche vulcanologiche dell’Ingv di Catania.
Fra le pagine del libro si dipana un dialogo fitto e gustoso fra i due amici, nel quale le informazioni scientifiche si specchiano nell’irripetibile natura dell’Etna. Un viaggio che nasce ad Acitrezza, le cui acque tennero a battesimo il gigante che affiorava dallo Jonio, risale il perimetro del Simeto che segna il limite del territorio vulcanico, giunge alla Valle del Bove, prosegue per Punta Lucia, entra nell’area a ridosso dei crateri sommitali e si conclude ai Pizzi Deneri.
Parlavamo di “magnetica attrazione”, la stessa che, nel 1971, spinse un ragazzino di undici anni a prendere l’autobus fino a Milo per cercare Alfred Rittmann, uno dei padri della moderna vulcanologia, che si trovava ai fronti lavici di una delle eruzioni più importanti del ‘900.
Da sinistra La Spina, Caffo e Mangiameli
«Conoscevo il professor Rittmann, persona di rara bontà, perché frequentava la bottega di calzolaio di mio padre, che gli preparava le scarpe su misura – racconta il ragazzino di allora che è Salvo Caffo, vulcanologo del Parco dell’Etna e coautore del manuale –. Avevo sentito dire che c’era un’eruzione dalle parti di Milo e così, nella mia ingenuità e senza dire niente a nessuno, presi l’autobus e mi recai lì. Seguendo la gente mi incamminai anche io verso il fronte lavico dove speravo di trovare Rittmann, e infatti lo trovai. Ma non appena il professore mi vide s’infuriò perché mi ero ficcato in una situazione senza uscita: se non trovavo lui non avrei saputo come ritornare a casa. Per mia fortuna mi affidò a qualcuno dei suoi collaboratori che poi mi fece rientrare a Catania. Quell’esperienza fu decisiva per la mia vita perché posso dire che la passione per la vulcanologia iniziò lì, condizionando anche le mie scelte future, ma anche perché mi fece toccare con mano la dignità della gente di quei paesini minacciati dalla lava che, seduta sull’uscio di casa, accettava la situazione di pericolo per i propri beni con grande contegno».
In questo romanzo c’è quell’innata voglia di scoprire che è propria dei ragazzi che s’infiammano per gli esperimenti in laboratorio e che bruciano dalla voglia di vedere insieme il mondo.
«Abbiamo scelto la forma del romanzo – spiega Sergio Mangiameli – perché lo riteniamo l’unico modo possibile per ispirare i ragazzi, che vivono di emozioni. Il romanzo sveglia la parte emotiva e adolescenziale di tutti, la voglia di avventura che serbiamo nell’animo. Incontrando gli studenti ci sentiamo ripetere: quando andiamo lì? E noi speriamo proprio che possiamo farle, magari in primavera, queste visite sull’Etna insieme a loro. Con questo tour nelle scuole abbiamo l’ambizione di svegliare la loro passione e non nascondo che mi piacerebbe che la lettura di queste pagine permetta di far venire fuori i vulcanologi, i botanici, i naturalisti di domani».
Nei disegni in bianco e nero che illustrano la guida, che non ha foto, realizzati a biro da Riccardo La Spina, Vulc e Geo assomigliano come due gocce d’acqua ai due coautori da giovani. Un bianco e nero che è pure una scelta voluta perché, dice il disegnatore, «costringe ad una più attenta osservazione e lascia immaginare colori, odori, suoni…».
Come sono nati i disegni? «Siamo andati tutti insieme in alcuni dei luoghi narrati ed ho avuto modo di osservare Salvo e Sergio sul campo, rendendomi conto che erano esattamente come sono i due protagonisti del manuale. Inoltre, l’utilizzo della penna biro non è solo un fatto di praticità di trasporto, ma una scelta voluta, perché adoro ritrovarmi con il foglio bianco davanti e adoro osservare il primo segno d’inchiostro nero e indelebile che lo inizia».