Ma la realtà, talvolta, supera la fantasia.
Il leader di Ncd, fedele alleato di Matteo Renzi e ultrà «con un impegno pancia a terra» del sì al referendum, a Catania viene accolto come «uno di noi». E lui – dimagrito, abbronzato e molto disteso – si concede al popolo dem con ruffiana chiarezza, toccando, da politico e da ministro degli Interni, i tasti giusti. Il «rispetto delle regole» accoppiato l’umanità («non userò mai il telefonino per fermare un soccorso in mare e far morire un bambino») sul tema dell’immigrazione, il disgusto per i grillini («campioni nell’hit parade del ballismo del New York Times») e il distinguo da Salvini («è quello che proponeva il bus riservati ai soli milanesi»). E, in un’epoca di paura globale, snocciola con soddisfazione i numeri dei successi contro la criminalità («si deve migliorare solo la sicurezza urbana, furti e rapine diminuiscono meno degli altri reati»), gli impegni sulle forze dell’ordine («presto un assunto per ognuno che va in pensione») e le rassicurazioni sul terrorismo.
Musica per le orecchie dei disorientati frequentatori di Villa Bellini. Una motivetto, le parole di Alfano, di quelli col ritornello facile e gli accordi che ti restano in testa. E il pubblico della kermesse del Pd riserva all’ex ministro della Giustizia di Berlusconi, una convinta approvazione. «Ha ricevuto l’applauso più lungo della Festa dopo D’Alema», oserà dire un autorevole amministratore dem, subito dopo il dibattito con Francesco Saverio Garofani, moderato da Giovanni Pepi. Alfano chiacchiera a lungo col sindaco Enzo Bianco e col segretario regionale del Pd, Fausto Raciti.
E allora? Se uno più uno facesse due, la conseguenza sarebbe un rafforzamento dell’asse col Pd, magari sdoganando l’alleanza sottotraccia con Crocetta in Sicilia. Invece no. Perché Alfano innanzitutto gela Davide Faraone, che aveva auspicato la partecipazione di Ncd alle primarie del centrosinistra anche per le Regionali: «Noi abbiamo una linea politica del tutto autonoma e dunque non siamo promessi sposi di nessuno. Stiamo costruendo un grande movimento moderato, liberale e popolare per raccogliere il consenso dei tanti italiani e siciliani che non votano per il Pd e non si riconoscono nella destra estrema di Salvini». E poi aggiunge un chiaro monito al Pd nostrano: «Stia attento a non farsi fare enormi danni in Sicilia, perché l’esperienza di governo può incidere sulle elezioni successive».
E allora che succede? «Noi vogliamo contribuire e questo governo nazionale ha dato davvero tante risorse alla Sicilia. Però crediamo che con la nostra forza potremo proporre una candidatura di area moderata, non necessariamente del ceto politico ma proveniente dal ceto professionale, per il futuro della Sicilia». La stessa linea che il leader ha dato nel pranzo catanese con i deputati dell’Ars, all’Hotel Nettuno. Pressato da alcuni sulla necessità di «incidere di più sulla Sicilia», Alfano ha chiarito che «lo faremo con la forza dei numeri e dei fatti concreti». Ma, fino a novembre, le cifre più importanti sono quelle del referendum. Nel successivo incontro pomeridiano – con 200 fra amministratori, imprenditori e simpatizzanti – Alfano passa alla chiamata alle armi: a breve i comitati del sì di Ncd. «Per un sondaggio di Piepoli, il 16% degli italiani, pur dichiarandosi di centrodestra, se ne frega delle indicazioni dei cosiddetti leader del centrodestra, e vota sì al referendum. Noi – dice Alfano – siamo quei moderati, quel centrodestra per il sì». Campagna referendaria e cantiere del partito dei moderati vanno di pari passo: «È in questo contesto – ragiona il coordinatore siciliano, Giuseppe Castiglione – che riusciremo a coinvolgere società civile e forze produttive nel nostro progetto». In programma c’è anche un evento – nome provvisorio: “Masterplan per la Sicilia” – in cui gli alfaniani «sceglieranno quelle 4-5 priorità da trasformare in fatti concreti per l’Isola». Ma soprattutto si conteranno. Poi verrà il referendum. E magari l’arrivederci al Pd. Amici, «perché non puoi certo parlare con Salvini e Grillo». Ma non più alleati.
Allora questa serata d’estate catanese, con Alfano che seduce la il popolo della Festa dell’Unità, sarà soltanto un ricordo. «Non te ne andare Angelino, resta con noi», lo implorano sotto il palco due ex comunisti etnei. Che, se fossero di Bronte, sarebbero sospetti. Ma sono di Maletto.